BALDER

A Drink for Balder Bold William Blake (1790)

del Dr. Christopher E. Johnsen © 2014

La morte di Balder è una delle più grandi storie della mitologia norrena. Il mito è raccontato nei Sogni di Baldr e Vegtamskvida (Il Carme di Vegtam). Ci sono linee extra contenute nel Vegtamskvida che lo rendono un poema più completo. Anche l’Edda in prosa contiene informazioni, che esaminerò per prime. 

Ecco la parte rilevante della morte di Balder in Gylfaginning 49:

Þá mælti Gangleri: “Hafa nökkur meiri tíðendi orðit með ásunum? Allmikit þrekvirki vann Þórr í þessi ferð.”
Hárr svarar: “Vera mun at segja frá þeim tíðendum, er meira þótti vert ásunum. En þat er upphaf þeirar sögu, at Baldr inn góða dreymði drauma stóra ok hættliga um líf sitt. En er hann sagði ásunum draumana, þá báru þeir saman ráð sín, ok var þat gert at beiða griða Baldri fyrir allskonar háska, ok Frigg tók svardaga til þess, at eira skyldu Baldri eldr ok vatn, járn ok alls konar málmr, steinar, jörðin, viðirnir, sóttirnar, dýrin, fuglarnir, eitrit, ormarnir.
En er þetta var gert ok vitat, þá var þat skemmtun Baldrs ok ásanna, at hann skyldi standa upp á þingum, en allir aðrir skyldu sumir skjóta á hann, sumir höggva til, sumir berja grjóti, en hvat sem at var gert, sakaði hann ekki, ok þótti þetta öllum mikill frami.
“XLIX. Poi parlò Gangleri: “Ci sono altre questioni da notare tra gli Aesir? Un atto di grande valore ha compiuto Thor in quel viaggio. Harr rispose: “Ora sarà detto di quelle notizie che apparivano più importanti per gli Aesir. L’inizio della storia è questo, che Baldr il Buono faceva sogni grandi e pericolosi riguardo la sua vita. Quando raccontò questi sogni agli Aesir, presero insieme un consiglio, e questa fu la loro decisione: chiedere sicurezza a Baldr da ogni tipo di pericolo. E Frigg prestò giuramento a questo scopo, che il fuoco e l’acqua non nuocessero mai a Baldr, e allo stesso modo ferro e metallo di ogni tipo, pietre, terra, alberi, malattie, bestie, uccelli, veleno, serpenti. E quando ciò fu fatto e reso noto, allora fu un divertimento di Baldr e degli Aesir, che si sarebbero alzati in piedi al Thing[1], e tutti gli altri avrebbero dovuto tirargli contro qualcosa, alcuni lo colpivano, alcuni gli scagliavano pietre; ma qualsiasi cosa fosse lanciata niente gli avrebbe recato alcun danno, e ciò sembrava a tutti una cosa molto degna di riverenza.
En er þetta sá Loki Laufeyjarson, þá líkaði honum illa, er Baldr sakaði ekki. Hann gekk til Fensalar til Friggjar ok brá sér í konu líki. Þá spyrr Frigg, ef sú kona vissi, hvat æsir höfðust at á þinginu. Hon sagði, at allir skutu at Baldri ok þat, at hann sakaði ekki.
Þá mælti Frigg: “Eigi munu vápn eða viðir granda Baldri. Eiða hefi ek þegit af öllum þeim.”
Þá spyr konan: “Hafa allir hlutir eiða unnit at eira Baldri?”
Þá svarar Frigg: “Vex viðarteinungr einn fyrir vestan Valhöll. Sá er mistilteinn kallaðr. Sá þótti mér ungr at krefja eiðsins.”
Því næst hvarf konan á braut, en Loki tók mistiltein ok sleit upp ok gekk til þings. En Höðr stóð útarliga í mannhringnum, því at hann var blindr.
Þá mælti Loki við hann: “Hví skýtr þú ekki at Baldri?”
Hann svarar: “Því, at ek sé eigi, hvar Baldr er, ok þat annat, at ek em vápnlauss.”
Þá mælti Loki: “Gerðu þó í líking annarra manna ok veit Baldri sæmð sem aðrir menn. Ek mun vísa þér til, hvar hann stendr. Skjót at honum vendi þessum.”
Höðr tók mistiltein ok skaut at Baldri at tilvísun Loka. Flaug skotit í gegnum Baldr, ok féll hann dauðr til jarðar, ok hefir þat mest óhapp verit unnit með goðum ok mönnum.
“Ma quando Loki Laufeyson vide questo, gli piacque che Baldr non si fosse fatto male. Andò a Fensalir da Frigg, e assunse le sembianze di una donna. Poi Frigg chiese se quella donna sapesse cosa stessero facendo gli Aesir al Thing. Disse che tutti stavano tirando a Baldr, e inoltre, che non si era fatto male. Poi Frigg disse: ‘Né le armi né gli alberi possono ferire Baldr: ho avuto il giuramento di tutti loro.’ Poi la donna chiese: ‘Hanno fatto tutti giuramento per risparmiare Baldr?’ e Frigg rispose: ‘Cresce un germoglio di alberi da solo verso ovest di Valhall: si chiama Vischio; ho pensato che fosse troppo giovane per chiederne il giuramento’. Poi subito la donna si voltò; ma Loki prese il Vischio e lo portò con sé al Thing. “Hödr stava fuori dal cerchio di uomini, perché era cieco. Allora Loki parlò a lui: ‘Perché non tiri a Baldr?’ Egli rispose: ‘Perché non vedo dov’è Baldr; e anche per questo, che sono senza armi’. Poi Loki disse: ‘Fa’ anche tu come gli altri, e mostra onore a Baldr come fanno gli altri uomini. Ti dirigerò dove si trova; tiragli questa bacchetta’. Hödr prese il Vischio e tirò a Baldr, essendo guidato da Loki: il legno volò attraverso Baldr, che cadde morto a terra; e quella fu la più grande sciagura che sia mai caduta tra gli dèi e gli uomini.
Þá er Baldr var fallinn, þá féllust öllum ásum orðtök ok svá hendr at taka til hans, ok sá hverr til annars, ok váru allir með einum hug til þess, er unnit hafði verkit, en engi mátti hefna. Þar var svá mikill griðastaðr. En þá er æsirnir freistuðu at mæla, þá var hitt þó fyrr, at grátrinn kom upp, svá at engi mátti öðrum segja með orðunum frá sínum harmi. En Óðinn bar þeim mun verst þenna skaða sem hann kunni mesta skyn, hversu mikil aftaka ok missa ásunum var í fráfalli Baldrs.“Poi, quando Baldr era caduto, a tutti gli Aesir mancavano le parole, e le loro mani allo stesso non riuscivano a raccoglierlo; ognuno guardò l’altro, e tutti erano concordi su colui che aveva compiuto l’atto, ma nessuno poteva vendicarsi, troppo importante era la santità di quel luogo. Ma quando gli Aesir cercarono di parlare, allora accadde prima che scoppiò il pianto, in modo che nessuno potesse parlare agli altri con parole sul suo dolore. Ma Odino portava quella disgrazia peggio di tutti, poiché aveva la più alta percezione di che gran danno e perdita fosse la morte di Baldr per gli Aesir.”

[1] Il thing era l’assemblea legislativa d’Islanda; in modo meno specifico, un’assemblea formale tenuta a fini giudiziari o per risolvere questioni del momento; un’assemblea di uomini.

Nell’astrologia vedica, l’estremità meridionale della Via Lattea (almeno durante il Solstizio d’Estate) è l’area di disarmonia e negatività e l’estremità settentrionale è il luogo in cui si trovano buone divinità. Gemelli e Sagittario si trovano sui lati opposti del cielo con il Sagittario verso sud e i Gemelli verso nord e con il passare dell’anno, questa estremità della Via Lattea si sposta verso nord. È in queste due costellazioni che l’eclittica (il sentiero dei soli) attraversa la Via Lattea (tra Scorpione e Sagittario e tra Toro e Gemelli).  L’estremità settentrionale della Via Lattea vicino ai Gemelli è anche l’area in cui è stata trovata la magica Soma (Soma era fatta con latte, miele e un terzo ingrediente che è stato notoriamente identificato come il fungo Amanita muscaria da R. Gordon Wasson – quindi la Via Lattea vicino a Gemini è stata probabilmente pensata come il Soma Cosmico nel cielo). Ho passato centinaia di ore al programma per computer Stellarium, esaminando le stelle nel tentativo di individuare il luogo in cui avviene il mito. Balder, senza dubbio, rappresenta la luce di qualche tipo e Hödr l’oscurità. Ha senso che il mito Balder abbia luogo durante il Solstizio d’Estate, quando si svolgeva la festa estiva (Mezza Estate). È il giorno più lungo dell’anno; così, l’anno cominciò a invecchiare dopo questo periodo e le giornate si accorciarono progressivamente. Il dio Balder fu ucciso in quel momento e il mito stesso serve a segnare questo Solstizio nel calendario. L’altro mito che rappresenta il Solstizio d’Inverno (Yule) l’ho precedentemente descritto (Thor Goes Fishing) ed è il giorno più breve dell’anno e dopo di che i giorni divengono sempre più lunghi. Così i due Solstizi sono rappresentati da questi miti.

Se guardate il cielo durante il Solstizio d’Estate (questo è difficile da fare durante l’estate a causa del sole di mezzanotte nell’estremo Nord), quando la punta della freccia del Sagittario sorge sopra l’orizzonte, è in quel momento che la costellazione dei Gemelli inizia a scendere negli inferi nello stesso momento in cui il sole tramonta e inizia la notte. Possiamo guardare ai miti vedici e greci e all’astrologia (che sono stati ben conservati) per avere alcune idee su quali costellazioni sono consustanziali con i personaggi norreni che agiscono in questo mito. Poiché i Gemelli sono identificati con i Dioscuri, Castore e Polluce, Balder e Höðr, i “fratelli in lotta” norreni, dovrebbero essere identificati con esso. Il Sagittario può essere identificato con Loki poiché condivide molti aspetti della somiglianza con il Dadhyanch vedico noto anche come Angira.

Il cavallo sacrificale vedico è un accoppiamento rituale (maithuna) o “matrimonio divino” che è piuttosto antico. Era un rituale usato per garantire la fortuna del re e del suo regno.  È presente in India fin dai tempi antichi come dimostra l’antico trattato filosofico sulle dottrine sankhya, il Sankhyayana Shrauta Sutra (17:6:2). Esso afferma che la maithuna rituale “è un antico rituale, già caduto in disuso”. Un altro sutra, lo Shatapatha Brahmana (11:6:2-10), dice che la maithuna è fatta per il sacrificio in onore di Agni, il dio del fuoco indù, ed è chiamata agnihotra. In questo rituale, il partecipante getta palle fatte di burro nel fuoco, dove il burro è un rappresentante di ciò che in precedenza erano vittime sacrificali. Il sacrificio è fatto sia all’alba che al tramonto. Il fuoco di Agni rappresenta il Sole ma, più esattamente, il Sole Caduto che infiamma la terra alla fine del mondo o alla fine della giornata.

Questo sacrificio era fatto anche dai Romani e la loro versione era conosciuta come il “Cavallo d’Ottobre” e ci sono prove che dimostrano che era praticato in Irlanda nel XII secolo nella provincia dell’Ulster, dove era sacrificata una cavalla bianca per l’inaugurazione di un nuovo re.  Una delle nuove regine si sarebbe sdraiata accanto alla cavalla sacrificata in un’unione sessuale simbolica e alcuni autori hanno persino suggerito che il nuovo re avrebbe avuto rapporti sessuali con il cavallo!

Nei miti vedici associati a questo sacrificio, un’altra versione di Agni si chiama Angiras. Il significato del suo nome può essere tradotto in diversi modi: quello “unto” o quello “infuocato” (Agni). Il nome Angiras è anche associato a Dadhyanch (“irrigatore di cagliata”), il cavallo volante indù.

Dadhyanch è anche collegato con Indra e il suo furto dell’intossicante Soma dove rivelò il segreto del Soma ai medici celesti, gli Asvin (il Calvuro vedico e Höðr), e fu violentemente decapitato da Indra come punizione. Gli Asvin sostituirono la testa di Angiras con la testa di un cavallo e lo animarono di nuovo. È la sua testa decapitata che dovrebbe cadere sulla terra, e diventare la cavalla infuocata che è tenuta sul fondo dell’Oceano (il sole).

Loki è noto per la sua trasformazione in cavalla e attirare Svadilfari lontano dal gigante che costruisce il muro intorno ad Asgard nel capitolo 42 del Gylfaginning, ed è l’unico dio /gigante a trasformarsi in un cavallo femmina nella mitologia norrena.

Il personaggio di Loki sembra simile ai fulmini, il che spiegherebbe perché è stato così spesso trovato in viaggio con Thor (Thunder) e anche perché sarebbe stato associato al fuoco distruttivo poiché suo padre, Fárbauti, è l’uragano, e sua madre “Laufey” è un’isola frondosa o cima di alberi dove i fulmini colpirebbero e produrrebbero fuoco distruttivo con il loro “accoppiamento”.

R. Gordon Wasson ha dimostrato che molte culture europee hanno credenze che il fungo delle favole rosso e bianco, Amanita muscaria, possa uscire dal terreno solo dopo una tempesta se un fulmine fertilizza il terreno (in realtà è la pioggia che lo fa uscire dal terreno) e l’Amanita cresce solo sotto certi alberi – conifere, betulle e querce.  Loki sembra essere lo stesso di questa incarnazione di Agni (Angiras) per quanto sia anche l’unico a uccidere Agni (identificato con Heimdal da Viktor Rydberg in UGM I n. 82) alla fine del mondo, Ragnarok, in un paradosso mitologico classico.

Se ricordiamo che quasi tutti i centauri della mitologia greca sono malvagi, rende un po’ più facile riconoscere Loki nella costellazione del Sagittario. Molte autorità greche hanno identificato il Sagittario con Chirone, il buon centauro, che era il tutore di molte figure mitologiche tra cui Ercole, cui insegnò i suoi segreti su veleni e sostanze trasformative mentre viveva nel deserto con lui (questi “uomini selvaggi” erano di solito arcieri che avvelenavano le frecce). Loki sembra anche essere come Chirone in questo senso, dal momento che sembra essere un “procuratore” di oggetti speciali per gli dèi. 

Loki esce e prende le preziose sostanze dorate (il fungo rosso Amanita si asciuga a una tonalità dorata e alcune varietà sono dorate) dai nani: i capelli dorati di Sif, il martello “simile a un fungo” per Thor e il cinghiale dalle setole d’oro per Frey. In modo multidimensionale, questi oggetti dorati rappresentano non solo il fungo d’oro per realizzare il “Nettare della Poesia”, ma anche il sole. 

Come Wasson ha scoperto, si pensava che i fulmini fertilizzassero il terreno e producessero questi funghi e colpissero principalmente il simbolico albero di legno duro di Thor – la Quercia – che è l’albero più colpito da un fulmine. Gli Jotun sono la fonte di questi funghi che erano anche conosciuti come le “Mele d’Oro della Giovinezza Eterna” di cui Idunn era responsabile e Loki (il ragazzo Jotun), portò questo “fuoco” agli dèi, proprio come Prometeo lo portò agli umani nella mitologia greca.

Al tramonto, al Solstizio d’Estate, il sole è nei Gemelli (che come uno dei Dioscouri o “Gemelli” della tradizione astronomica greca sarebbe un rappresentante di Balder) e proprio mentre tramonta, con il bagliore del sole all’orizzonte, il Sagittario, l’Arciere, alza la freccia all’orizzonte, con esso appena diventato visibile. Sagittario in questa “scena” del mito è Loki, che è l’equivalente del “sacrificio del cavallo” dato alla fiamma santa. La costellazione che segue Gemini è il Cancro, la costellazione “cieca”, così detto perché è fioca e difficile da vedere. Proporrei che questo abbia qualche associazione con il dio “cieco” Hödr, che è “in piedi” accanto a suo fratello Balder, quando la freccia lo “uccide”, cioè va sotto l’orizzonte nel letterale “mondo di sotto” mentre il sole tramonta nei Gemelli.  È Loki in quanto Sagittario, tuttavia, il vero arciere e la vera causa della morte di Balder.  L’arco del cielo copre metà delle costellazioni zodiacali dal Sagittario ai Gemelli in questo mito.

Quando entra in Hel, Balder diventa re dei morti e governa i campi di beatitudine dato che questa parte celeste della Via Lattea è piena del Nettare di Poesia – che induce beatitudine.  Questa parte di Hel non è la regione dei dannati dove regna Leikin, lo spirito di malattia e figlia di Loki (che potrebbe essere identificata con le costellazioni malvagie nella parte meridionale della Via Lattea dal Sagittario e dallo Scorpione). Nifelhel, o “Hel nebbiosa”, dove ella governa (secondo Rydberg) dovrebbe essere la regione più fredda del mondo di sotto in cui criminali e coloro che rompono i giuramenti vengono mandati nell’aldilà per essere puniti. Le stelle della via lattea sono la “nebbia”. 

Alcuni hanno ipotizzato che Nidhogg, il drago o serpente, che vive lì sia Scorpione. Odino in Vafþrúðnismál dice “A nove mondi sono venuto io, a Niflhel sotto, La casa dove abitano i morti” e nei sogni di Baldr, Odino sella Sleipnir e “lo cavalca fino a Niflhel profondo” – riferendosi sempre a Niflhel come giù, presumibilmente sotto la terra o sotto l’orizzonte.

Si dice che Balder ritorni nel mondo superiore (sopra l’orizzonte) dopo il Ragnarok (che potrebbe essere la rappresentazione di un’eclissi lunare totale con la sua luna rossa “sanguinosa”) quando Lif e Lifthrasir (come Bil & Hjuki sulla luna) riemergeranno dallo spazio protetto nel boschetto di Mimir (la luna) dopo il crepuscolo degli dèi.

titoloJost

Questo breve scritto rappresenta una peculiare e altrettanto interessante visione del Wotanismo secondo un grande attivista e pensatore purtroppo scomparso nel 1996. L’autore è Jost Turner, ex veterano della guerra in Vietnam e attivista per il nostro Popolo oltreoceano. Nonostante le molte interpretazioni differenti rispetto a quella che è la nostra eredità del Mito (comunque sempre in evoluzone), la filosofia di Jost, che insieme al Wotanismo abbraccia anche la Tradizione indo-Ariana nel campo delle discipline Yoga, rappresenta un validissimo lascito per chi ha sentito la chiamata degli Dei e per chi, magari anche grazie al suo prezioso contributo, la sentirà in futuro.

La nostra intenzione è tramandare questo tipo di filosofia tenendo bene a mente il 58° Precetto:

Le tirannie insegnano cosa pensare; gli uomini liberi apprendono come pensare.

Il Sentiero di Wotan

OSSERVAZIONI NELL’ASTRONOMIA EDDICA

Come i passaggi nelle Edda fanno da riferimento alle costellazioni

del Dr. Christopher E. Johnsen © 2014

 

1petrogylph

Immagine da un petroglifo dell’Età del Bronzo
Böhuslan, Svezia

I miti norreni hanno un sapore distintivo, ma anche molte similitudini con le mitologie greche, romane, persiane e indiane. Questi miti di altre culture hanno molte corrispondenze ben note con le stelle, mentre la tradizione mitica norrena è scarsa in questo, o forse sarebbe meglio dire che sono state intenzionalmente nascoste e le chiavi per decifrare queste corrispondenze perdute.

 L’astronomia, stjörnuíþrótt in antico norreno, è la scienza dell’osservazione delle stelle – e pare che gli antichi fossero molto bravi a farlo.  È probabile che le persone che vivono nel lontano nord, vicino al circolo polare artico, avessero una naturale tendenza a concentrarsi sull’osservazione delle stelle in quanto tante notti invernali erano riempite da nient’altro che tenebre e stelle sopra da osservare, con poco sole presente intorno al solstizio d’inverno.

Le radici dell’astronomia moderna possono essere ricondotte alla Mesopotamia, e discendono direttamente dagli astronomi babilonesi che a loro volta dovevano la loro conoscenza agli astronomi Sumeri.  I primi cataloghi stellari babilonesi risalgono a circa il 1200 a.C. e molti nomi di stelle sono in sumero, suggerendo che i Sumeri furono uno dei primi popoli, se non il primo, a studiare le stelle che sono state osservate nel registro archeologico o a ereditare una tradizione astronomica da una cultura sconosciuta precedente.

I Sumeri svilupparono il più antico sistema di scrittura noto – cuneiforme – la cui origine è attualmente datata al 3500 a.c. circa. Sono state trovate tavolette di argilla cotta con scrittura cuneiforme che registravano osservazioni dettagliate delle stelle che riconducevano all’astronomia specializzata dei successori dei Sumeri, i Babilonesi. Solo frammenti di queste tavolette di scrittura che esponevano l’astronomia babilonese sono sopravvissuti attraverso i secoli. Molti credono che “tutte le successive varietà di astronomia scientifica, nel mondo ellenistico, in India, nell’Islam, e in Occidente — se non addirittura tutti gli sforzi successivi nelle scienze esatte — dipendono dall’Astronomia babilonese in modi decisivi e fondamentali”1.  Si potrebbe dire che questa affermazione valga anche per gli astronomi norreni dell’antichità e che stavano continuando l’antica tradizione sumero/babilonese.

1cuneiform

I Sumeri crearono il concetto di divinità planetarie e usarono anche un sistema di numeri sessagesimale (in base 60).  Questo metodo di calcolo ha facilitato la manipolazione di numeri molto grandi e molto piccoli ed è la base per la pratica moderna di dividere un cerchio in 360 gradi. Il numero 60 ha dodici fattori, vale a dire 1, 2, 3, 4, 5, 6, 10, 12, 15, 20, 30 e 60. Con così tanti fattori, la manipolazione delle frazioni che coinvolgono i numeri sessagesimali è semplificata.

 

 

 

 

Per esempio, un’ora può essere divisa uniformemente in 30 minuti, 20 minuti, 15 minuti, 12 minuti, 10 minuti, 6 minuti, 5 minuti, 4 minuti, 3 minuti, 2 minuti e 1 minuto. 60 è anche il più piccolo numero che è divisibile per ogni numero da 1 a 6; cioè, è il più basso comune multiplo di 1, 2, 3, 4, 5 e 6. I numeri sessagesimali sono i più facili da usare in astronomia poiché i movimenti dei corpi celesti, visibili dalla terra, si verificano in tondo e il cielo può così essere equamente diviso.

starwheel

Proiezione stereografica dell’emisfero celeste settentrionale sul piano equinoziale.

L’astronomia può essere utilizzata per determinare sia il tempo che la posizione da un’osservazione accurata, rendendosi così utile per scopi agricoli poiché in grado di osservare e registrare i movimenti ciclici di luna, stelle e pianeti, nonché per la navigazione su terra e via mare.  Poiché i Norreni avevano una società agricola, il benessere delle persone dipendeva dalla tempistica del piantare correttamente e lo studio delle stelle poteva essere utilizzato per creare un calendario al fine di massimizzare la resa delle colture. Erano anche marinai e viaggiavano su vaste distanze tra diverse terre sul mare e avevano bisogno di un preciso metodo di navigazione, al fine di arrivare dove stavano andando.

Molti dei poemi norreni erano capolavori linguistici che sembrano essere progettati per aiutare la loro memorizzazione. Questo sarebbe anche naturale per una cultura che era più abituata alla recitazione in luoghi pubblici come metodo di comunicazione per le masse. Gran parte di questa cultura è probabile che fosse pre-letteraria o illetterata e la memoria era notevolmente più importante in assenza di una scrittura formalizzata. I poemi più facili da memorizzare avrebbero goduto di una maggiore distribuzione e vita di quelli più difficili e questa tradizione mitologica orale era un modo di trasmettere la conoscenza dell’astronomia alle generazioni future.

L’origine delle stelle e dei pianeti e anche la loro distruzione finale nel Ragnarök è discussa nel poema norreno Völuspa. Nell’Edda di Snorri Sturluson, il testo descrive come il gigante Ymir fosse stato ucciso e il suo corpo usato da tre dèi, Odino, Vili e Ve, per creare la terra.  Il suo cranio è stato trasformato nel “Firmamento” pensato per sostenere le stelle che erano prodotte dalle scintille del Muspellheim. Quattro nani reggono il cranio dell’antico gigante e sono chiamati come i punti cardinali della bussola.

 

Yggdrasill.jpg

Sembrerebbe che le persone che hanno creato le storie (forse per trasmettere questa saggezza ai loro figli e discendenti) sugli dèi e le dèe potrebbero aver certamente codificato informazioni sui fenomeni astronomici. Sembrano esservi riferimenti astronomici nascosti nei miti norreni e vi è anche la prova che i Norreni siano stati eredi di questa antica tradizione sumero/babilonese e questo diviene più chiaro quando guardiamo alcuni numeri particolari trovati nella mitologia.

Vi è una certa quantità di numeri astronomicamente significativi presenti nell’Edda e ci sono indizi nei miti norreni che indicano che i poeti hanno ereditato e trasmesso una tradizione astronomica di numeri sessagesimali. Molti, importanti numeri unici, si trovano all’interno del Grímnismál o Discorso del Mascherato, dove si dice:

Fimm hundruð dura
ok umb fjórum tögum,
svá hygg ek á Valhöllu vera;
átta hundruð Einherja
ganga senn ór einum durum,
þá er þeir fara við vitni at vega.
23. Cinquecento e
quaranta porte vi sono,
Io credo, nelle mura di Valhalla;
Ottocento combattenti
attraverso una porta passano
Quando in guerra vanno con il lupo.

(Traduzione di Henry A. Bellows, 1923)

540 ha 20 fattori, una unità numerica standard conosciuta come una partitura, e 27, che pare anche essere un numero chiamato ciclo lunare siderale o il numero di giorni che servono alla luna per tornare allo stesso posto nel cielo.  Quando si moltiplica 540 per 800 il risultato è 432.000 che è un numero astronomicamente significativo.

Un sacerdote caldeo di nome Berossos, che scrisse in greco intorno al 289 a.C., riferì la convinzione mesopotamica che fossero trascorsi 432.000 anni tra l’incoronazione del primo re terreno e la venuta del diluvio (2). Nella storia babilonese o sumera, vi furono in totale dieci re che vissero vite molto lunghe dalla creazione al periodo dell’inondazione, che è un totale di 432.000 anni.  Questo numero rappresenta il numero di anni nel grande anno babilonese e il tempo necessario dei pianeti per tornare alla loro identica posizione nel cielo (3).  Scoprire che questo antico numero babilonese/sumerico, non arbitrario, utilizzato nella loro mitologia e astronomia, è presente anche nei miti norreni, è notevole.

Nel relativo racconto biblico, vi furono dieci Patriarchi tra Adamo e Noè, che vissero anch’essi a lungo. Noè aveva 600 anni al momento dello sbarco dell’Arca sul Monte Ararat. Gli anni totali raggiungono 1.656. In 1.656 anni ci sono 86.400 settimane, e la metà di questo numero è 43.200. Raddoppiare e dimezzare queste cifre sembra essere un tema comune. Il numero di anni da Adamo a Noè sembra nascondere il numero del ciclo del tempo e indica che il compositore di questo testo e anche il compositore del poema norreno avevano una conoscenza di funzionamento del ciclo terrestre di precessione, che tale numero indica.

La precessione è l’oscillazione periodica della terra, che gira come una trottola.  Quando la terra oscilla, lo fa su un periodo molto lungo di tempo e la oscillazione fa una rivoluzione completa solo ogni 25.920 anni.  Questa cifra divisa per il numero di base sessagesimale 60 risulta nel numero 432. Ci sono ulteriori prove che gli antichi norreni suddividevano il cielo in fette uguali di una torta circolare di 360, riecheggiando l’approccio di Babilonesi e Sumeri con il loro uso di calcoli sessagesimale, proprio come noi usiamo attualmente strumenti sessagesimali come l’orologio, accanto alla comune matematica decimale.

eclittica

rotazione astri

È chiaro che gli astronomi babilonesi pensavano in termini di sei e dodici più di quanto faccia la nostra cultura attuale, in cui pensiamo in termini di decine, centinaia e migliaia. Il calcolo sessagesimale, 60 x 60 x 120, è uguale a 432.000. Per una società  basata su sestine e dozzine, parlare di 432.000 di qualcosa è come parlare di un centinaio di migliaia di qualcosa la gente di oggi. Per un astronomo babilonese, 432.000 sembrerebbe come un bel numero regolare perché ha molteplici fattori che sono facili calcoli sessagesimali.

Grímnismál contiene anche una descrizione della cosmologia norrena e delle case degli dèi. Come notato sopra, questo carme contiene il numero astronomicamente significativo 432.000, tuttavia, una parte precedente del poema che descrive le case e le terre degli dèi ha l’influenza sessagesimale dato che sono descritte dodici case degli Dèi e Dèe:

1. Thrudheim per Thor così come Ydalir (la Valle dei Tassi apparentemente in Thrudheim) per Vulder che è il suo figliastro.
2. Alfheim per Frey
3. Valaskialf per Vali
4. Sokkvabekk per Saga (Frigga)
5. Gladsheim per Odino che lì ha la sua sala – il Valhalla
6. Thrymheim per la gigantessa Skadi che la governa dopo la morte di suo padre Thiazi.
7. Breidablik per Balder
8. Himinbiörg per Heimdal
9. Folkvang per Freya
10. Glitnir per Forseti
11. Noatun per Njord
12. Landvidi per Vidar

Le dodici case degli dèi accennate, possono essere suggerite come situate nel cielo, poiché il cielo per molte migliaia degli anni è stato diviso in dodici “case” uguali a quelle conosciute nell’astrologia moderna. Case e sale sono la stessa cosa sia nel presente che nel passato.

Qui ci sono antichi numeri mesopotamici che appaiono in un poema norreno – cosa che è molto interessante, non è vero? Oltre a questi numeri, tuttavia, ci sono alcuni altri indizi che le poesie stanno descrivendo luoghi stellari e corpi celesti.

Nella Skáldskaparmál, Edda in prosa, Aurvandill, il primo marito di Sif e padre di Vulder, è menzionato nel contesto di un viaggio che ha intrapreso con il Dio Thor:

[Þórr]  hafði vaðit norðan yfir Élivága ok hafði borit í meis á baki sér Aurvandil norðan ór Jötunheimum, ok þat til jartegna, at ein tá hans hafði staðit ór meisinum, ok var sú frerin, svá at Þórr braut af ok kastaði upp á himin ok gerði af stjörnu þá, er heitir Aurvandilstá.   Thor aveva guadato dal nord sopra il fiume Elivagar e aveva sopportato Aurvandill in un cestino sulla sua schiena dal nord di Jötunheim. E aggiunse per ricompensa, che una delle dita di Aurvandill fu bloccata dal cesto, e divenne congelata; pertanto Thor lo spezzò e lo gettò nei cieli, e ne fece la stella chiamata Dito di Aurvandill.

Il Norreno Aurvandill è equivalente dell’Antico Inglese Ēarendel ed è stato ritenuto significare  “il vagabondo luminoso”, una descrizione ragionevole del pianeta Venere, dal momento che “pianeta” significa “vagabondo”.  Sembrerebbe ragionevole che i Norreni si riferissero a Venere nel mito in cui Thor lancia il dito di Aurvandill verso il cielo.

L’Antico Inglese Earendel appare nei glossari tradurre Iubar come “Radiosità” o “Stella del Mattino”. Nel poema antico inglese Crist I si leggono le linee:

 éala éarendel engla beorhtast
ofer middangeard monnum sended
and sodfasta sunnan leoma,
tohrt ofer tunglas þu tida gehvane
of sylfum þe symle inlihtes.
Ave o Earendel, più luminoso tra gli angeli,
dalla Terra di Mezzo mandato agli uomini,
e vera radiosità del Sole
splendi tra le stelle, ogni stagione
sempre più luminoso di te stesso.(4)

Il nome Earendel è qui preso per riferirsi a Giovanni il Battista ed è indirizzato come la stella del mattino che annuncia la venuta di Cristo, il Sole. Naturalmente, ci sono altre teorie, tra cui Richard Allen che collega Orione con Aurvandill, identifica la stella Rigel come una delle sue dita dei piedi e la punta congelata e spezzata come la stella Alcora (5).

Ci sono anche riferimenti diretti a corpi celesti nella mitologia norrena. Il poema Alvismal contiene una serie di domande e risposte su come i corpi celesti sono chiamati da varie razze. Thor chiede ad Alvis queste domande per testare la conoscenza del nano che vuole essere il pretendente di sua figlia Thrud.

Illustrazioni di William Gershom Collingwood (1854-1932)

 Þórr kvað:

“Segðu mér þat, Alvíss,
– öll of rök fira
vörumk, dvergr, at vitir -:
hvé sú jörð heitir,
er liggr fyr alda sonum
heimi hverjum í?”

Thor parlò

9. “Rispondimi, Alvis!
tu che conosci tutto,
Nano, del destino degli uomini:
Come chiamano la terra,
che giace dinanzi a tutti,
in ognuno dei mondi?”

Alvíss kvað:

“Jörð heitir með mönnum,
en með ásum fold,
kalla vega vanir,
ígræn jötnar,
alfar gróandi,
kalla aur uppregin.”

Alvis parlò:

10. ” ‘Terra’ per gli uomini, ‘Campo’
è per gli Dèi,
‘Le Vie’ è chiamata dai Vanir;
‘Sempre Verde’ dai Giganti,
‘Crescente’ dagli Elfi,
‘La Poltiglia’ dagli Altissimi.”

Þórr kvað:

“Segðu mér þat, Alvíss, –
öll of rök fira vörumk,
dvergr, at vitir -:
hvé sá himinn heitir,
erakendi,
heimi hverjum í?”
 Thor parlò:

11. “Rispondimi, Alvis!
tu che sai tutto,
Nano, del destino degli uomini:
Come chiamano i cieli,
vista che sta in alto,
In ognuno dei mondi?”

Alvíss kvað:

“Himinn heitir með mönnum,
en hlýrnir með goðum,
kalla vindófni vanir,
uppheim jötnar,
alfar fagraræfr,
dvergar drjúpansal.”

 Alvis parlò:

12. ” ‘Cielo’ lo chiamano gli uomini,
‘L’Altezza’ gli dèi,
I Vanir ‘Il Tessitore di Venti’;
I Giganti ‘Il Mondo di Sopra’,
gli Elfi ‘Il bel Tetto’,
I Nani ‘La Sala Grondante.'”

 Þórr kvað:

“Segðu mér þat, Alvíss,
– öll of rök fira vörumk,
dvergr, at vitir -:
hversu máni heitir,
sá er menn séa,
heimi hverjum í?”

 Thor parlò:

13. “Rispondimi, Alvis!
tu che sai tutto,
Nano, del destino degli uomini:
Come chiamano la luna,
che gli uomini ammirano,
In ognuno dei mondi?”

Alvíss kvað:

“Máni heitir með mönnum,
en mylinn með goðum,
kalla hverfanda hvél helju í,
skyndi jötnar,
en skin dvergar,
kalla alfar ártala.”

Alvis parlò:

14. “‘Luna’ tra gli uomini,
‘Fiamma’ gli dèi di sopra,
‘La Ruota’ nella casa degli inferi;
‘L’Andante’ i Giganti,
‘La Splendente’ i Nani,
Gli Elfi ‘Colui che dice i tempi.”

Þórr kvað:

“Segðu mér þat, Alvíss,
– öll of rök fira vörumk,
dvergr, at vitir -:
hvé sú sól heitir,
er séa alda synir,
heimi hverjum í?”

Thor parlò:

15. “Rispondimi, Alvis!
tu che sai tutto,
Nano, del destino degli uomini:
Come chiamano il Sole,
che tutti vedono,
In ognuno dei mondi?”

 Alvíss kvað:

“Sól heitir með mönnum,
en sunna með goðum,
kalla dvergar Dvalins leika,
eygló jötnar,
alfar fagrahvél,
alskír ása synir.”

Alvis parlò:

16. “Gli uomini lo chiamano ‘Sole,’
gli Dèi ‘Sunna’,
‘Ingannatore di Dvalin’ i Nani;
I Giganti ‘Il sempre Splendente’,
gli Elfi ‘Bella Ruota’,
‘Tutto-splendente’ i figli degli Dèi.”

(Traduzione di Henry A. Bellows, 1923)

I nani avrebbero avuto un’ampia opportunità di osservare il cielo notturno poiché si tramutavano in pietra se esposti alla luce del sole.  Queste kenning non sono ovvie per i fenomeni descritti e il “codice” rivelato da Alvis è uno dei pochi casi nei poemi norreni in cui è reso chiaro che la conoscenza del cielo e delle stelle era presente tra coloro che hanno scritto i miti.

Ci sono altri indizi nella poesia eddica e scaldica a indicare che gli Antichi Norreni fossero informati in astronomia, tuttavia le prove citate sopra sono quelle più facilmente riconoscibili tra le varie poesie che compongono il corpus di ciò che noi chiamiamo Mitologia Norrena. Molte più corrispondenze possono essere dedotte o intuite dal confronto con la mitologia romana, greca e indiana, che hanno meglio conservato i legami astrali con i miti, e questo è un campo di studio affascinante che merita una ricerca ulteriore.

1. A. Aaboe (May 2, 1974). “Astronomia Scientifica nell’Antichità”. Transazioni Filosofiche della Royal Society 276 (1257): 21–42. doi:10.1098/rsta.1974.0007. JSTOR 74272.
2. Thorkild Jacobsen, Lista dei Re Sumeri, 1939, pp. 71, 77.
3. Ogier, J. Costellazioni Eddiche.
4. Crist I (ll. 104–108) di Cynewulf.
5. Richard Hinckley Allen, Star Names; Their Lore and Meaning.