BALDER

Il più amato tra gli Dèi

del Dr. Casper Odinson Cröwell

Odino e Frigga erano genitori di due figli gemelli tanto più dissimili nel carattere quanto nell’aspetto fisico; poiché mentre Hoder, dio delle tenebre, era cupo, taciturno e cieco, Balder il Bello era il dio puro e radioso dell’innocenza e della luce. La fronte innevata e le ciocche dorate di questo As sembravano spargere raggi di sole a rallegrare i cuori degli Dèi e degli uomini, dai quali era altrettanto amato.

“Di tutti i dodici intorno al trono di Odino,
solo Balder, il Bello,
Il dio sole, buono e puro, e luminoso,
Era amato da tutti, come tutti amano la luce.”
-VALHALLA (J. C. Jones)

Nanna

Balder, raggiungendo la sua piena crescita con meravigliosa rapidità, fu ammesso al consiglio degli Dèi, e sposò Nanna (fiore), la figlia di Nip (bocciolo), una bella e affascinante giovane dea, con la quale visse in perfetta unità e pace. Prese la sua dimora al palazzo di Breidablik, il cui tetto d’argento poggiava su pilastri d’oro, e la cui purezza era tale che nulla di comune o impuro era mai ammesso all’interno dei suoi confini.

Il Dio della luce era esperto nella scienza delle rune, che erano scolpite sulla sua lingua; conosceva le varie virtù dei semplici, una delle quali, la camomilla, era sempre chiamata “fronte di Balder”, perché il suo fiore era immacolatamente puro come la sua fronte. L’unica cosa nascosta agli occhi raggianti di Balder, in un primo momento, era la percezione del suo destino finale.

“La sua casa era Breidablik,
sulle cui colonne Balder incise
Gli incantesimi che richiamano i morti alla vita.
Saggio era lui, e molte arti curiose,
Forme di rune, ed erbe curative conosceva;
Ma ahimé! Quella sola arte non conosceva,
Che tenesse al sicuro la sua vita, per vedere il sole.”
-BALDER MORTO (Matthew Arnold)

Mentre Balder il bello era sempre sorridente e felice, gli Dèi erano molto turbati quando infine videro morire la luce dai suoi occhi azzurri, un aspetto carente sul suo volto, e il suo passo farsi pesante e lento. Odino e Frigga, vedendo l’evidente depressione del loro amato figlio, lo implorarono teneramente di rivelare la causa del suo dolore silenzioso. Balder, cedendo finalmente alle loro suppliche ansiose, confessò che il suo sonno, invece di essere tranquillo e riposante come un tempo, era stato stranamente turbato negli ultimi tempi da sogni oscuri e opprimenti, che, anche se non riusciva a ricordare chiaramente quando si svegliava, lo perseguitavano costantemente con un vago sentimento di paura.

“Di quel dio il sonno
Era più afflitto;
I suoi sogni di auspicio
Sembravano svaniti.”
-CARME DI VEGTAM (trad. di Thorpe)

Quando Odino e Frigga lo sentirono, erano davvero turbati, ma dichiararono che erano abbastanza sicuri che nulla avrebbe fatto del male al loro figlio, che era così universalmente amato. Tuttavia, quando il Padre e la Madre ansiosi erano tornati a casa, parlarono della questione, riconobbero che anche loro erano oppressi da strani presagi, e dopo aver appreso dai giganti che Balder era davvero in pericolo, procedettero ad adottare misure per evitarlo.

Frigga, dunque, mandò i suoi servi in ogni direzione, affinché facessero in modo che tutte le creature viventi, tutte le piante, i metalli, le pietre – in realtà ogni cosa animata e inanimata – prestassero un solenne voto di non fare alcun danno a Balder. Tutta la creazione fece prontamente il giuramento, poiché tutte le cose amavano il dio radioso, e si crogiolavano alla luce del suo sorriso. Così i servi tornarono presto da Frigga, dicendole che tutti avevano debitamente giurato, tranne il vischio, che cresceva sul gambo di quercia alla porta del Valhalla ma, aggiunsero, era una cosa così gracile e inoffensiva che nessun danno poteva essere temuto da esso.

“Nel loro viaggio decisero:
Che avrebbero indotto
Ogni essere,
A promettere di far sì,
che a Balder non fosse fatto alcun male.
Tutte le specie fecero voto
giurando di risparmiarlo;
Frigga ricevette tutti i
I loro voti insieme.”
-EDDA DI SÆMUND (tr. Thorpe)

La Profezia di Vala

Frigga ora riprendeva la sua filatura con la sua solita gioia, poiché sapeva che nessun danno poteva arrivare al figlio che amava di più. Odino, nel frattempo, anch’egli gravemente turbato, e intenzionato ad accertare se vi fosse qualche motivo per la sua depressione involontaria, decise di consultare una delle Vala morte o profetesse. Montò quindi il suo stallone Sleipnir, cavalcò sui tremuli ponti di Bifrost e Gjallar, giunse all’ingresso di Nifelheim, e passando il Portale di Hel e il cane Garm, penetrarono nella dimora oscura di Hel.

“Si alzò il re degli uomini con velocità,
E subito sellò il suo stallone nero come carbone;
Giù per la ripida via si dirigeva,
Quel portale alla dimora di Hel.”
-DISCESA DI ODINO (Gray)

Con sua grande sorpresa, notò che un banchetto si stava tenendo in questo regno oscuro, e che le panche erano state tutte coperte di arazzi e anelli d’oro, come se qualche ospite molto onorato fosse atteso in poco tempo. Affrettandosi, Odino finalmente raggiunse la tomba dove la Vala aveva riposato indisturbata per molti anni, e solennemente cominciò a intonare l’incantesimo magico e tracciare le rune che avevano il potere di far rialzare i morti.

“Tre volte pronunciò, con accento lugubre,
Il versetto del risveglio che desta i morti:
Fino a quando da fuori il terreno cavo
Lentamente un cupo respiro risuonò.”
-DISCESA DI ODINO (Gray)

Improvvisamente la tomba si aprì e la profetessa si alzò lentamente, cercando chi fosse e perché turbasse così il suo lungo riposo. Odino, non desiderando che sapesse che era il re degli Dèi, rispose che era Vegtam, figlio di Valtam, e che l’aveva svegliata per informarsi per chi Hel stesse addobbando le sue panche e preparando un banchetto festivo. In tono vuoto, la profetessa ora confermava tutte le sue paure dicendogli che l’ospite atteso era Balder, che sarebbe stato presto ucciso da Hoder, suo fratello, il cieco dio delle tenebre.

“Hoder manderà qui,
Il suo fratello glorioso;
Egli di Balder
Sia l’uccisore,
E il figlio di Odino
Privi della vita.
Per costrizione ho parlato;
Ora tacerò.”
-EDDA DI SÆMUND (trad. Thorpe)

Ma nonostante queste tristi promesse e l’evidente riluttanza della Vala a rispondere a qualsiasi altra domanda, Odino non era ancora soddisfatto e la costrinse a dirgli chi avrebbe vendicato l’uomo assassinato chiamando il suo assassino a rendere conto – uno spirito di vendetta e ritorsione considerato un sacro dovere tra le razze del Nord.

Allora la profetessa gli disse, come Rossthiof aveva predetto prima, che Rinda, la dea della terra, avrebbe avuto un figlio da Odino, e che questo emissario divino, Vali, non avrebbe lavato il viso né pettinato i capelli prima di aver vendicato Balder e ucciso Hoder.

“Nelle caverne dell’ovest,
Dal feroce abbraccio di Odino,
Un ragazzo meraviglioso avrà Rinda,
Che mai pettinerà i capelli di corvo,
Né laverà il suo volto nel torrente,
Né vedrà il fascio di luce dal sole,
Fino a quando sul corsetto di Hoder sorriderà
Fiammeggiante sulla pira funerea.”
-DISCESA DI ODINO (Gray)

Avendolo scoperto dalla riluttante Vala, Odino, che grazie alla sua visita alla fontana di Urd già conosceva gran parte del futuro, aveva rivelato incautamente alcune delle sue conoscenze su chi si sarebbe rifiutato di piangere la morte di Balder. Quando la profetessa udì questa domanda, capì subito che era stato Odino a chiamarla fuori dalla tomba e, rifiutandosi di dire un’altra parola, sprofondò nel silenzio della tomba, dichiarando che nessuno sarebbe mai stato in grado di attirarla fuori di nuovo fino alla fine del mondo.

“Orsù dunque, e corri a casa,
Che mai venga alcuno a domandare
Per spezzare di nuovo il mio sonno ferreo,
Finché Loki non spezzerà la sua catena in dieci;
Mai, finché la notte più profonda
Avrà ripreso il suo antico regno
Finché avvolto in fiamme, gettato in rovina,
Affonderà la fibra del mondo.”
-DISCESA DI ODINO (Gray)

Odino aveva interrogato la più grande profetessa che il mondo avesse mai conosciuto, e aveva imparato i decreti di Orlog (del destino), che sapeva non poter essere messo da parte. Egli rimontò quindi il suo destriero, e triste si fece strada verso Asgard, pensando al tempo, non molto lontano, in cui il suo amato figlio non sarebbe più stato visto nelle dimore celesti, e quando la luce della sua presenza sarebbe scomparsa per sempre.

Entrando a Gladsheim, tuttavia, Odino fu in qualche modo rallegrato quando seppe delle precauzioni prese da Frigga per assicurarsi la salvezza del loro amato, e presto, sentendosi convinto che se nulla avrebbe ucciso Balder, egli avrebbe sicuramente continuato a rallegrare il mondo con la sua presenza; mise da parte tutte le preoccupazioni e ordinò i giochi e un banchetto festivo.

Gli Dèi in Festa

Gli Dèi ripresero le loro occupazioni, e presto gettarono i loro dischi d’oro sulla pianura verde di Ida, che si chiamava Idavoll, il parco giochi degli Dei. Alla fine, stancandosi di questo passatempo, e sapendo che nessun danno poteva essere recato al loro amato Balder, inventarono un nuovo gioco e cominciarono a usarlo come bersaglio, gettandogli ogni sorta di armi e dardi, certi che non importa quanto abilmente si fossero cimentati, e con quanta precisione mirassero, gli oggetti, avendo giurato di non ferirlo, lo avrebbero solo sfiorato o mancato del tutto. Questo nuovo divertimento fu così affascinante che ben presto tutti gli Dèi si riunirono intorno a Balder, contro cui gettarono ogni cosa disponibile, salutando ogni nuovo fallimento con lunghe grida di risate. Queste esplosioni di allegria presto eccitarono la curiosità di Frigga, che sedeva a filare a Fensalir; e vedendo una vecchia passare per la sua dimora, la fermò per farsi dire ciò che gli Dèi stessero facendo per provocare una tale ilarità. La vecchia, che era Loki sotto mentite spoglie, si fermò immediatamente a questo appello, e disse a Frigga che tutti gli Dèi stavano lanciando pietre e strumenti smussati e affilati a Balder, che stava sorridente e illeso in mezzo a loro, sfidandoli a colpirlo.

La Dea sorrise e riprese il suo lavoro, dicendo che era del tutto naturale che nulla avrebbe fatto del male a Balder, poiché tutte le cose amavano la luce, di cui era l’emblema, e avevano solennemente giurato di non ferirlo. Loki, la personificazione del fuoco, rimase molto deluso nel sentirlo, poiché era geloso di Balder, il sole, che lo aveva completamente eclissato ed era amato da tutti, mentre lui era temuto ed evitato il più possibile; ma egli nascose abilmente il suo dispiacere, e chiese a Frigga se lei fosse abbastanza sicura che tutti gli oggetti si fossero uniti al patto.

Frigga rispose con orgoglio di aver ricevuto il solenne giuramento di tutte le cose, tranne che di un piccolo infestante innocuo, il vischio, che cresceva sulla quercia vicino alla porta del Valhalla, ed era troppo piccolo e debole per essere temuto. Dopo aver ottenuto le informazioni desiderate, Loki continuò a gironzolare; ma non appena fu al sicuro fuori dalla vista, riprese la sua forma, si affrettò al Valhalla, trovò la quercia e il vischio indicati da Frigga, e dalle arti magiche costrinse la pianta infestante ad assumere una dimensione e una durezza finora sconosciute.

La Morte di Balder

Dal gambo di legno così prodotto, formò abilmente un dardo prima di affrettarsi di nuovo a Idavoll, dove gli Dèi erano ancora intenti a scagliare armi contro Balder, solo Hoder era appoggiato tristemente a un albero, non prendendo parte al nuovo gioco. Loki gli si avvicinò senza dare nell’occhio, chiese la causa della sua malinconia, e lo prese in giro con superbia e indifferenza, dal momento che non si degnava di prendere parte al nuovo gioco. In risposta a queste osservazioni, Hoder accusò la sua cecità; ma quando Loki gli mise il vischio in mano, lo condusse in mezzo al cerchio, e indicò in quale direzione stesse il nuovo bersaglio, Hoder lanciò il suo dardo con decisione. Invece del forte grido di risate che si aspettava di sentire, un grido di terrore gli risuonò all’orecchio, perché Balder il bello era caduto a terra, colpito dal tiro fatale.

“Così sul pavimento giaceva Balder morto; e intorno
aveva spade, asce, dardi, e lance,
Che tutti gli Dei nel gioco avevano indolenti gettato
Contro Balder, che nessun’arma aveva trafitto o scalfito;
Ma nel suo petto era conficcato il ramo fatale
Di vischio, che Loki, l’accusatore, aveva dato
A Hoder, e l’Inconsapevole Hoder aveva scagliato –
contro quello soltanto ebbe la vita di Balder nessun incanto.”
-DISCESA DI ODINO (Gray)

Ansiosi gli Dèi gli si riversarono tutti intorno, ma ahimè! la vita non era più in lui, e tutti i loro sforzi per far rivivere il Dio-Sole caduto furono vani. Inconsolabili per la loro perdita, si rivolsero con rabbia a Hoder, che avrebbero percosso se non fossero stati trattenuti dalla sensazione che nessun atto di violenza volontaria avrebbe mai profanato le loro sedi di pace. Al forte rumore del lamento le Dèe giunsero in fretta, e quando Frigga vide che il suo amato figlio era morto, implorò appassionatamente gli Dèi di andare a Nifelheim e supplicare Hel di liberare la sua vittima, perché la terra non poteva vivere felice senza di lui.

Il Viaggio di Hermod

Poiché la strada era accidentata ed estremamente perigliosa, nessuno degli Dèi in un primo momento si offrì volontario per andare; ma quando Frigga aggiunse che lei e Odino avrebbero ricompensato il messaggero amandolo più di tutti, Hermod espresse la sua disponibilità a eseguire la commissione. Per aiutarlo nel suo cammino, Odino gli prestò Sleipnir, e gli ordinò una buona velocità, mentre fece cenno agli altri Dèi di portare il cadavere a Breidablik, e li ordinò di andare nella foresta e tagliare enormi pini per fare una degna pira per suo figlio.

“Ma quando gli Dèi furono andati alla foresta,
Hermod condusse Sleipnir dal Valhalla
E montò su di lui; prima d’allora, mai Sleipnir aveva accolto
Altra mano sul suo crine se non quella di Odino,
Sul suo ampio dorso nessun altro cavaliere era mai stato seduto
Eppure docile ora stava al fianco di Hermod,
Inarcando il collo, e lieto di essere guidato,
Sapendo quanto caro fosse il Dio che andavano a cercare.
Ma Hermod lo aveva sellato, e triste se ne andò
Nel silenzio del buio della strada mai percorsa
Che dirama dal Nord del firmamento, e andarono
Tutto il giorno; e la luce del giorno scemò, e la notte si accese.
E tutta quella notte cavalcarono, e così viaggiarono,
Nove giorni, nove notti, verso il ghiaccio settentrionale,
Attraverso valli profonde solcate da ruscelli ruggenti.
E il decimo mattino vide il ponte
Che sovrasta con archi dorati il torrente Gjall,
E sul ponte una dama a guardare, armata,
Nel passaggio dritto, alla fine,
Dove la strada sbuca tra mura di rocce.”
-BALDER MORTO (Matthew Arnold)

Mentre Hermod viaggiava lungo la strada triste verso Nifelheim, gli Dèi tagliarono e portarono fino alla riva una grande quantità di legna, che posero sul ponte della nave preferita di Balder, Ringhorn, erigendo un’elaborata pira, che, secondo la consuetudine, fu decorata con arazzi, ghirlande di fiori, vasi e armi di tutti i tipi, anelli d’oro, e innumerevoli oggetti di valore, dove il cadavere immacolato venne portato e posto su di esso in abbigliamento sfarzoso.

Uno dopo l’altro, gli Dèi ora si avvicinarono per dare l’ultimo addio al loro amato compagno, e mentre Nanna si chinava su di lui, il suo cuore amorevole si spezzò, e cadde senza vita al suo fianco. Vedendo questo, gli Dèi la deposero con riverenza accanto al marito, affinché lei potesse accompagnarlo anche nella morte; e dopo aver uccisi il suo cavallo e i suoi cani e intrecciato la pira con i rovi, gli emblemi del sonno, Odino, l’ultimo degli Dei, si avvicinò.

La Pira Funeraria

In segno di affetto per i morti e di dolore per la loro perdita, tutti deposero i loro beni più preziosi sulla sua pira, e Odino, chinandosi, ora aggiungeva alle offerte il suo anello magico Draupnir. Gli Dèi riuniti si accorsero allora che stava sussurrando all’orecchio di suo figlio morto, ma nessuno era abbastanza vicino da sentire quali parole dicesse.

Questi preparativi finirono, e gli Dei ora si apprestavano a lanciare la nave, ma la trovarono così pesantemente carica di legna e tesori che i loro sforzi combinati non riuscirono a farla spostare di un centimetro. I Giganti delle montagne, assistendo alla triste scena da lontano, e notando il loro dilemma, dissero che sapevano di una gigantessa di nome Hyrrokin, che abitava a Jotunheim, ed era abbastanza forte da lanciare la nave senza altri aiuti. Gli Dèi ordinarono quindi che uno dei Giganti della tempesta si affrettasse a evocare Hyrrokin, che presto apparve, in sella a un gigantesco lupo, che guidava tramite una briglia fatta di serpenti vivi che si contorcevano. Cavalcando fino alla riva, la Gigantessa smontò e superbamente espresse la sua disponibilità a dare loro l’aiuto richiesto, e nel frattempo non avrebbero dovuto fare altro che tenere la sua cavalcatura. Odino inviò immediatamente quattro dei suoi Berserker più folli per adempiere a questo compito; ma, nonostante la loro forza fenomenale, non riuscirono a tenere fermo il mostruoso lupo fino a quando la Gigantessa non l’ebbe strattonato e legato stretto.

Hyrrokin, vedendoli ora in grado di gestire il suo refrattario stallone, marciò lungo la spiaggia, mise la spalla contro la poppa della nave di Balder, Ringhorn, e con una potente spinta la mandò in acqua. Tale era il peso del fardello che si muoveva, tuttavia, e la rapidità con cui si abbatteva in mare, che tutta la terra tremò come per un terremoto, e i rulli su cui scivolava presero fuoco per l’attrito. Lo sgomento inaspettato quasi fece perdere agli Dèi l’equilibrio, e così fece arrabbiare Thor che alzò il martello e avrebbe colpito la Gigantessa se non fosse stato trattenuto dai suoi simili Dèi. Facilmente fu placato, come al solito – poiché la violenza di Thor, anche se facile, era evanescente – allora si avvicinò alla nave ancora una volta per consacrare la pira funeraria con il suo sacro martello. Ma, mentre stava eseguendo questa cerimonia, il nano Lit riuscì a mettersi in mezzo così provocatoriamente che Thor, ancora un po’ adirato, lo prese a calci nel fuoco, che aveva appena acceso con una torcia, dove il nano fu arso in cenere con le salme della coppia fedele.

Mentre la nave si allontanava verso il mare, le fiamme si alzavano sempre più in alto, e quando si avvicinò all’orizzonte occidentale sembrava che il mare e il cielo fossero tutti in fiamme. Colmi di tristezza gli Dèi guardavano la nave incandescente e il suo prezioso carico, finché non si tuffò improvvisamente tra le onde e scomparve; e non si voltarono per tornare alle loro case fino a quando l’ultima scintilla di luce fu scomparsa, e tutto il mondo era avvolto nell’oscurità, in segno di lutto per Balder il buono.

“Presto si elevò ruggente il fuoco potente,
E la pira crepitava; e tra i tronchi
Affilate lingue tremule di fiamma sgorgavano, e saltavano
Contorcendosi e guizzando, più in alto, finché non lambirono
La sommità del mucchio, i morti, l’albero,
E divorarono le vele avvizzite; ma ancora la nave
Andava, in fiamme il suo scafo incendiato.
E gli Dèi erano sulla spiaggia, e osservavano;
E mentre guardavano, il sole scendeva vivido
Nel mare avvolto dal fumo, e la notte sopraggiunse.
Poi il vento cadde con la notte, e vi fu quiete;
Ma nel buio guardavano la nave in fiamme
Ancora trasportata dalle acque lontane, su,
Sempre più lontano, come un occhio di fuoco.
Così appariva nel buio lontano, la pira di Balder;
Ma più debole, come le stelle si alzarono in alto, brillava;
I corpi erano stati consumati, la cenere soffocava la pira.
E come in un fuoco invernale che va scemando,
Un tronco bruciacchiato che cade, fa una pioggia di scintille.
Così, con una pioggia di scintille, la pira cadde,
Arrossando il mare intorno; e tutto fu buio.”
-BALDER MORTO (Matthew Arnold)

Tristi, gli Dèi rientrarono in Asgard, dove non si udì alcun suono di allegria o di festa, ma tutti i cuori erano colmi di disperazione, poiché sapevano che la fine era vicina, e rabbrividivano al pensiero del terribile Inverno di Fimbul, che avrebbe annunciato la loro morte.

Solo Frigga accarezzava qualche speranza, e attendeva con ansia il ritorno del suo messaggero, Hermod il rapido, che nel frattempo aveva cavalcato sul tremulo ponte, lungo l’oscura Via di Hel, e la decima notte aveva attraversato la marea impetuosa del fiume Gjall. Qui fu sfidato da Madgud, che chiese perché il ponte di Gjallar tremava sotto il battistrada del suo cavallo più di quando facesse al passaggio di un intero esercito, e chiese perché lui, un uomo vivo, stesse tentando di penetrare nel temuto Regno di Hel.

“Chi sei tu, sul tuo cavallo nero e impetuoso
Sotto i cui zoccoli il ponte sul torrente Gjall
Trema e rimbomba? Dimmi della tua razza e della tua casa.
Solo ieri sono passate cinque truppe di morti,
Costretti alla loro strada verso il regno di Hel,
E non scossero il ponte più di quanto tu abbia fatto da solo.
E tu hai carne e colore sulle tue guance,
Come gli uomini che vivono, e respiri l’aria vitale;
Né appari pallido e smunto, come l’uomo deceduto,
Anime legate sotto, i miei passanti quotidiani qui.”
-BALDER MORTO (Matthew Arnold)

Hermod spiegò a Madgud il motivo della sua venuta e, dopo aver accertato che Balder e Nanna avessero cavalcato il ponte prima di lui, si affrettò, fino a quando giunse alla porta degli inferi, che si alzò dinanzi a lui per bloccarlo. Per nulla scoraggiato da questa barriera, Hermod smontò sul ghiaccio liscio, strinse le briglie della sua sella, rimontò, e affossando i suoi speroni in profondità negli eleganti fianchi di Sleipnir, gli fece fare un salto prodigioso, che lo fece atterrare sano e salvo dall’altra parte del Portale di Hel.

“Da allora in viaggio per i campi di ghiaccio
Sempre a nord, fino a quando incontrò un muro a ergersi
Sbarrando la sua strada, e nel muro un cancello.
Quindi smontò, e tirò strette le briglie,
Sul ghiaccio liscio, di Sleipnir, cavallo di Odino,
E gli fece saltare il cancello, ed entrò.”
-BALDER MORTO (Matthew Arnold)

Cavalcando avanti, Hermod arrivò finalmente alla sala dei banchetti di Hel, dove trovò Balder, pallido e abbattuto, sdraiato su una panca, sua moglie Nanna accanto, guardando fisso l’idromele davanti a lui, che non aveva voglia di bere.

La Missione di Hermod

Invano Hermod informò suo fratello che era venuto a redimerlo; Balder scosse tristemente la testa, dicendo che sapeva di dover rimanere in quella triste dimora fino all’ultimo giorno, ma implorandolo di riportare Nanna con sé, poiché la casa delle ombre non era posto per una giovane creatura così luminosa e bella. Ma quando Nanna udì questa richiesta si avvinghiò ancora più  vicino al marito, giurando che nulla l’avrebbe mai spinta a separarsi da lui, e che sarebbe rimasta con lui, anche a Nifelheim, per sempre.

Tutta la notte fu trascorsa in serrata conversazione, con Hermod che prima si rivolse a Hel e implorò il rilascio di Balder. La Dea malvagia ascoltò in silenzio la sua richiesta, e alla fine dichiarò che avrebbe liberato la sua vittima a patto che tutte le cose animate e inanimate avrebbero dovuto dimostrare il loro dolore per la sua perdita versando una lacrima.

“Vengo allora a sapere che Balder era così amato,
E se ciò è vero, e una tale perdita è del Cielo,
Ascolta, di come in Cielo può Balder esser riportato.
Mostrami in tutto il mondo i segni del dolore!
Fosse anche solo una cosa a non piangere, qui Balder si ferma!
Fa che tutto ciò che vive e si muove sulla terra
Lo pianga, e tutto ciò che è senza vita pianga;
Che gli dèi, gli uomini, i bruti, lo piangano; piante e pietre!
Quindi saprò che il perduto era davvero caro,
E piegherò il mio cuore, per restituirlo al Cielo.”
-BALDER MORTO (Matthew Arnold)

Dopo aver avuto questa risposta, l’anello Draupnir, che Balder inviò a Odino, un tappeto ricamato da Nanna per Frigga, e un anello per Fulla, Hermod si fece strada dal regno oscuro di Hel, da cui sperava presto di salvare Balder il buono, perché sapeva che tutta la natura piangeva sinceramente la sua dipartita e avrebbe versato lacrime infinite per riconquistarlo.

Gli Dèi riuniti si accalcarono ansiosamente intorno a lui non appena tornò, e quando aveva consegnato i suoi messaggi e doni, gli Æsir inviarono araldi a ogni parte del mondo a chiedere che tutte le cose animate e inanimate piangessero per Balder.

“Andate veloci in tutto il mondo e pregate
Tutte le cose viventi e non viventi di piangere
Balder, se così possiamo riaverlo!”
-BALDER MORTO (Matthew Arnold)

Questi ordini furono rapidamente eseguiti, e ben presto le lacrime grondavano da ogni pianta e albero, il terreno era saturo di umidità, e metalli e pietre, nonostante i loro cuori duri, piansero anch’essi.

Sulla strada di casa i messaggeri passarono davanti a una grotta oscura, in cui videro la forma accovacciata di una Gigantessa di nome Thok, che alcuni supponevano essere Loki sotto mentite spoglie; quando le chiesero di versare una lacrima, lei li derise e fuggì nei recessi oscuri della sua grotta, dichiarando che non avrebbe mai pianto e che Hel avrebbe potuto mantenere la sua preda per sempre.

“Thok non pianse
che lacrime asciutte
Per la morte di Balder —
Né in vita, né in morte
Mi diede mai gioia.
Che Hel tenga la sua preda.”
       -EDDA ANTICA (Howitt)

Non appena i messaggeri di ritorno arrivarono ad Asgard, tutti gli Dèi si accalcarono intorno a loro per conoscere il risultato della loro missione; ma i loro volti, tutti accesi dalla gioia dell’attesa, si oscurarono presto di disperazione quando sentirono che, poiché una creatura aveva rifiutato il tributo delle lacrime, non avrebbero più potuto vedere Balder sulla terra.

“Balder, il Bello, mai tornerà
Da Hel all’aria superiore!
Tradito da Loki, tradito due volte,
Prigioniero della Morte è fatto;
Mai lascerà il luogo di sventura
Fino a quando sarà giunto il Ragnarok  fatale!”
               -VALHALLA (J. C. Jones)

L’unica consolazione rimasta a Odino era quella di adempiere alla sentenza del destino. Egli quindi si allontanò e compì il difficile corteggiamento di Rinda, che abbiamo già descritto. Lei diede alla luce Vali, il Vendicatore, che, entrando ad Asgard il giorno stesso della sua nascita, colpì Hoder con la sua freccia affilata. Così punì l’assassino di Balder secondo il vero credo del Nord.

La spiegazione fisica di questo racconto è o il tramonto quotidiano del sole (Balder), che affonda sotto le onde dell’Ovest, scacciato dall’oscurità (Hoder), o la fine della breve estate settentrionale e il regno della lunga stagione invernale. “Balder rappresenta l’estate luminosa e limpida, quando il crepuscolo e la luce del giorno si baciano e vanno di pari passo in queste latitudini settentrionali.”

“Pira di Balder, del sole un segno,
Sacro focolare macchiato di rosso;
Eppure, presto muore la sua ultima debole scintilla,
E nell’oscurità regna poi Hoder.”
  -VIKING TALES OF THE NORTH (R. B. Anderson)

“La sua morte per mano di Hoder è la vittoria delle tenebre sulla luce, l’oscurità dell’inverno sulla luce dell’estate; e la vendetta di Vali è l’irrompere della nuova luce dopo l’oscurità invernale.

Loki, il fuoco, è geloso della pura luce del cielo, Balder, il solo tra gli Dèi del Nord a non aver mai combattuto, sempre pronto con parole di conciliazione e di pace.

“Ma dalle tue labbra, o Balder, notte o giorno,
Non ho mai udito una parola lesiva
A Dio né Eroe, ma tu hai tenuto indietro
Gli altri, impegnandoti a sedare le loro risse.”
  -BALDER MORTO (Matthew Arnold)

Le lacrime versate da tutte le cose per l’amato Dio sono simboliche del disgelo primaverile, che tramontano dopo la durezza e il freddo dell’inverno, quando ogni albero e ramoscello, e anche le pietre gocciolano di umidità; solo Thok (carbone) non mostra alcun segno di tenerezza, in quanto è sepolta nel profondo della terra oscura e non ha bisogno della luce del sole.

“E come in inverno, quando il gelo si spezza,
Alla fine dell’inverno, prima dell’inizio della primavera,
E un vento caldo da ovest soffia, e il disgelo ha inizio
Dopo un’ora si sente un suono gocciolante
In tutte le foreste, e la neve morbida
Sotto gli alberi è tutta bucherellata,
E dai rami i carichi di neve scendono giù;
E, nei campi esposti a sud, trame scure
Di erba fanno capolino tra la neve circostante,
Per poi allargarsi, e il cuore del contadino è contento.
Così attraverso il mondo fu sentito un rumore gocciolante

Di tutte le cose che piangevano per riportare Balder indietro;
E udirlo diede gioia agli Dèi.”

-BALDER MORTO (Matthew Arnold)

Dalle profondità della loro prigione sotterranea, il sole (Balder) e la vegetazione (Nanna) cercano di rallegrare il cielo (Odino) e la terra (Frigga) inviando loro l’anello Draupnir, l’emblema della fertilità, e l’arazzo fiorito, simbolico del manto di verdure che sarà di nuovo a ricoprire la terra e migliorare il suo aspetto con la sua bellezza.

Il significato etico del racconto non è meno bello, poiché Balder e Hoder sono simboli delle forze contrastanti del bene e del male, mentre Loki impersona il tentatore.

“Ma in ogni anima umana troviamo
Che la notte è l’oscuro Hoder, il fratello cieco di Balder,
Nasce e cresce forte come lui;
Perché cieco è ogni male nato, come sono i cuccioli di orso,
La notte è il mantello del male; mentre il bene
S’erge sempre in abiti splendenti.
Loki operoso, tentatore da sempre,
Ancora in avanti calpesta incessante, e tiene
La mano del cieco assassinio, che rapido lancia il dardo
A trafiggere al petto il giovane Balder, quel sole della sfera di Valhalla!”
-VIKING TALES OF THE NORTH (R. B. Anderson)

L’Adorazione di Balder

Una delle festività più importanti si tiene al Solstizio d’Estate, o alla vigilia di Mezza Estate, in onore di Balder il Buono, poiché è considerato l’anniversario della sua morte e della sua discesa nel mondo inferiore. Quel giorno, il più lungo dell’anno, tutte le persone si riunirono fuori dalle porte, fecero grandi falò e guardarono il sole, che alle latitudini settentrionali estreme si limita a toccare l’orizzonte prima di sorgere su un nuovo giorno. Da Mezza Estate in poi, i giorni si accorciano, e i raggi del sole sono meno caldi, fino al Solstizio d’Inverno, che era chiamato “Madre Notte”, dato che era il più lungo dell’anno. La vigilia di Mezza Estate, una volta celebrata in onore di Balder, fu usurpata dagli estranei soggiogatori cristiani e fu da allora chiamata San Giovanni, il santo utilizzato per soppiantare interamente Balder il Buono.

METAGENETICA – UN AGGIORNAMENTO

metagenetica

di Stephen McNallen

Negli anni ’80 scrissi un breve articolo per The Runestone intitolato “Metagenetica”. L’onda d’urto di quelle tre pagine causò più polemiche di qualsiasi altra cosa abbia mai scritto. La sola menzione della metagenetica fa sì che alcune persone cadano in preda all’ira e all’astio – quindi, sia per informare i miei amici che per far infuriare i miei nemici, ho deciso che era il momento di un aggiornamento sul tema!

Nel testo originale, la metagenetica era presentata come l’idea per cui “gli antenati contano, che ci sono implicazioni spirituali e metafisiche per l’eredità”. Ho abbinato diversi argomenti come le teorie di Jung sugli archetipi, la rinascita nella linea familiare, i legami psichici tra i gemelli e il concetto nordico dell’anima a sostegno di tale affermazione.

I contenuti di base restano gli stessi. Tuttavia, ho apportato dei perfezionamenti, aggiunto informazioni tratte dal biologo britannico Rupert Sheldrake, così come altri scrittori di psicologia e scienze della vita, e in generale ha pensato molto proprio a ciò che significa metagenetica nel lungo periodo.

Se dovessi modificare la definizione di metagenetica dopo tutti questi anni, direi che è “l’ipotesi per la quale vi sono implicazioni spirituali o metafisiche nella relazionalità fisica tra gli esseri umani, che sono legate, ma vanno oltre, ai limiti conosciuti della genetica”. Questo è più complicato della semplice frase degli anni ’80, ma è un po’ più preciso – e si apre alla possibilità che il meccanismo coinvolto potrebbe non essere così semplice come le informazioni memorizzate nella molecola del DNA.

Caratteristiche dell’ipotesi metagenetica

La metagenetica è caratterizzata da:

Relazionalità – descrive una connessione, indipendente dal tempo e dallo spazio, che collega gli esseri umani. (I principi generali che regolano la metagenetica valgono anche per gli animali, le piante, altri regni organici, e in effetti tutti i sistemi auto-organizzanti fino a includere cristalli e molecole. La metagenetica, tuttavia, è un sottoinsieme di questo schema di Grander e si applica specificamente agli esseri umani e alla loro spiritualità.)

Somiglianza – Siamo abituati a cose legate nel tempo e nello spazio, ma questo non è essenziale per il funzionamento della metagenetica. Invece, la metagenetica dice che le persone geneticamente legate tra loro condividono un legame non fisico che non dipende dalla posizione o dal tempo, e la vicinanza di tale legame è determinata dal grado di somiglianza. Il nostro linguaggio inconsciamente esprime questa idea quando parliamo di parenti “stretti” o “lontani”.

Gerarchia – Ciò è implicito nell’idea di somiglianza, descritta sopra. Tutti gli esseri umani sono legati e per questo è vero che siamo “parenti di ogni cosa vivente”, come alcune persone tengono a dire. Tuttavia, non siamo legati a tutti in modo eguale. All’interno dell’ampio cerchio che è la famiglia umana vi è una serie di cerchi concentrici che rappresentano le molte anime di Popolo – e anche questo non è un arrangiamento ordinato e rigido. Le singole famiglie, i clan e le tribù hanno le proprie suddivisioni o “mini-anime di Popolo”, e il tutto è dinamico e mutevole.

Olismo – I componenti che compongono l’individuo umano sono meglio visti come comprendenti un intero. Questo è tipicamente rappresentato come corpo, mente e spirito, anche se il complesso psicosomatico (mente-corpo) nella tradizione germanica è considerevolmente più complicato di questo. Le persone comunemente riconoscono che il corpo e la mente si influenzano a vicenda, ma in molti meno capiscono che anche il corpo (a includere il cervello, il sistema nervoso e l’apparato dell’eredità) è collegato allo spirituale o religioso.

Spiritualità – La relazionalità e la somiglianza influenzano il temperamento, i valori, la connessione psichica, la probabile reincarnazione e il tono generale della spiritualità o della religione. Alcune di queste cose – in particolare temperamento e valori – possono avere la loro origine nella codifica reale del DNA, ma il meccanismo per le altre connessioni potrebbe non trovarsi nel Regno delle scienze fisiche come sono attualmente intese. Sembra esservi un continuum al lavoro, e può essere rappresentato in questo modo:

Implicazioni della metagenetica

Molte cose diventano subito evidenti.

La stirpe conta. La maggior parte degli Asatruar sarà d’accordo con questa affermazione, ma in meno capiranno che gli antenati sono con noi, ora e sempre, a causa della natura del legame metagenetico che trascende il tempo. Nella misura in cui la rinascita si verifica all’interno della linea familiare, noi siamo quegli antenati manifestati di nuovo su Midgard! Inoltre questo legame è speciale – è più intenso del nostro legame con i non-antenati.

Non siamo “una umanità”. Anche se c’è un livello a cui ogni persona è connessa attraverso l’inconscio collettivo dell’umanità nel suo insieme, la vicinanza dei collegamenti varia immensamente. Infatti in una certa misura siamo legati a tutta la vita – ma ciò difficilmente ci induce a valorizzare i protozoi, i pesci rossi e i cammelli tanto quanto nostro fratello o nostro padre! Il grado di connessione è determinato dalla somiglianza.

Non ci sono rituali solitari. Tutte le nostre azioni si rialimentano nell’inconscio collettivo (C.G. Jung) o nel campo morfico (Rupert Sheldrake) – o in termini tradizionali asatru, il Pozzo di Urd. Sembra che più è intensa l’emozione che accompagna l’atto, o più simbolicamente viva un’azione, più interesserà tutti coloro che sono membri del gruppo in questione. Ci si può aspettare pertanto che i nostri blótar, i nostri giuramenti e gli altri scambi con i nostri dèi e dèe, influenzino tutti gli asatruar e tutti i nostri fratelli e sorelle di discendenza europea, in modo abbastanza immediato. Un intero nido di gerarchie è stato riempito da tutti i nostri atti significativi.

La nostra religione è una funzione di chi siamo, non solo di ciò che crediamo. Poiché l’essere umano è un’entità olistica, la nostra spiritualità non può essere considerata una cosa a parte rispetto alla nostra discendenza fisica. In termini sia di genetica che di metagenetica, i nostri antenati sono codificati nel nostro stesso essere. Dai valori e dal temperamento – che hanno dimostrato di correlare statisticamente con l’eredità – alle questioni più profonde dello spirito, i nostri antenati e le nostre antenate continuano a influenzarci. Sembra ragionevole, quindi, prevedere che le persone tenderanno a essere più soddisfatte dai percorsi religiosi e spirituali dei loro antenati. Opportunamente presentate, le antiche vie del proprio popolo dovrebbero esercitare una potente attrattiva sull’individuo.

Le credenze dei nostri antenati sono in gran parte confermate dalla psicologia moderna e dalle scienze biologiche. Soprattutto, l’inconscio collettivo junghiano e le ipotesi di Sheldrake riguardanti i “campi morfici” e la “risonanza morfica” sono molto vicine alle idee germaniche sul Pozzo di Urd, dove riposa l’orlog o “destino”.

Metagenetica – un concetto in evoluzione

La metagenetica, quindi, continua a maturare come nuove informazioni diventano disponibili. Lungi dall’essere rimasta statica nell’ultimo decennio e mezzo, ha incorporato nuove prove e ha trovato conferma negli scritti di altri scienziati col passare del tempo.

L’importanza trascendente del legame ancestrale è sempre stata avvertita dall’Asatru e da altre religioni native in tutto il mondo. Noi che riconoscevamo quel legame, ora abbiamo una conferma sorprendente di ciò che la nostra voce interiore ci ha sempre detto!

CULTO DI FREYJA

The_Dises_by_Hardy

di Ron McVan

Tra tutte le divinità femminili, la più rinomata, la più attiva, la più mistica del Pantheon del Nord è la dea Freyja. Il solo nome ‘Freyja’ esce dalle labbra con tale antica familiarità che si può quasi vederla fluttuare con grazia seducente attraverso la nebbia del tempo tra le felci e i rovi della nostra memoria genetica. Infatti è questa antica, voluttuosa seduttrice, Freyja dei Vanir, ad aver insegnato al patriarcale Wotan Padre di Tutto l’arte sciamanica del sejdr. È lei che conduce le Valchirie da e per i campi di battaglia e divide quelle anime di valorosi guerrieri con Wotan. È lei la sorella gemella dell’alto dio Frey, figlia di Njord e Nerthus e alter ego della matriarca materna Frigga. La dea Freyja è più comunemente immaginata a cavalcare attraverso il cielo sopra le battaglie di Midgard (terra) con le sue Valchirie. Altre volte può semplicemente cavalcare la notte attraverso le foreste boreali nel suo cocchio trainato da due enormi felini. All’alba, si potrebbe probabilmente intravedere il suo cinghiale d’oro attraverso gli alberi ombrosi, e spesso in quei momenti potrebbe spiegare le sue ali e scomparire, come un uccello predatore, nella canopea.

Freyja, dea dell’amore, della fertilità, della magia e della conoscenza mistica. C’è poco da meravigliarsi allora del fatto che lei sia rimasta la più importante icona della donna praticante di sejdr. Il “sejdr” (pronuncia sei-ther) è una forma di sciamanesimo ariano, che implica gli stati alterati e la divinazione che ha avuto origine con Freyja. Il suo particolare tipo di sejdr, dal suo concepimento, era un’arte femminile e mistica. Questo a volte si poteva manifestare nel mutare forma, nel corpo astrale in viaggio attraverso i Nove Mondi, nella profezia psichica, nella magia sessuale e nell’erbalismo, nonché nella conoscenza delle rune. L’arte stessa del sejdr, conosciuta come ‘la tecnica dell’estasi’ precede tutte le religioni conosciute.

Freyja era nota come la grande Dís. Le Dísir (Dee) sono state a lungo conosciute come nove donne vestite di nero e portanti spade. Il nove (un numero lunare) era considerato il più sacro e misterioso dei numeri. All’inizio dell’inverno, in particolare in Svezia, questi spiriti e Freyja erano venerati in una cerimonia chiamata Disablot. Le Dísir portavano buona fortuna, ma erano anche spietate nell’esigere giustizia. Le Dísir erano misteriosi esseri femminili, molto probabilmente legati al Fylgja e alle Valchirie, e connesse a Freyja nella sua qualità di dea dei morti. Era saggio tenersi in buoni rapporti con le Dísir e ricordarle con doni sacrificali, perché potevano predire la morte e avevano alcuni poteri protettivi su case e colture. In epoca vichinga le Dísir erano celebrate a Uppsala durante una grande festa invernale che si teneva alla luna piena di febbraio.

L’antica arte del sejdr è compiuta solitamente da una donna nota come völva o veggente che, una volta convocata dalla gente per i suoi servizi, si sedeva su un alto seggio e cadeva in trance, indotta dal canto degli incantesimi, per poi rispondere alle domande su certi aspetti del futuro. In questa condizione le veggenti avrebbero cercato informazioni dal mondo degli spiriti che gli avrebbero consentito di rispondere alle domande poste dagli altri adoratori.

Vi erano occasioni in cui il sejdr poteva essere un’attività pericolosa, usata per portare danni e persino morte agli altri. Spesso l’estasi ottenuta nei sejdr femminili rivaleggiava con quello delle onorevoli pratiche sejdr maschili attribuite a Wotan, Thor e Frey. Tradizionalmente, una veggente del culto di Freyja nota anche come ‘sejdkuna’, durante un rituale, si vestiva con stivali di vitello e guanti cuciti dalla pelle di un gatto. Alcune potevano preferire di vestirsi con un mantello nero o piumato.

Vi è un resoconto registrato in Groenlandia durante una cattiva stagione in cui una sejdkuna fu invitata per i suoi servizi ed è descritto così:

“… indossava un manto blu con un nastro tutto orlato di pietre preziose: aveva al collo perle di vetro, sul capo una cappa nera di pelle di capretto, guarnita con una pelle bianca di gatto. In mano teneva un bastone fornito di manico: il bastone era rivestito di bronzo e il manico era adornato di pietre preziose. Una cintura la cingeva, cui stava appeso un grande sacco di pelle, dove ella custodiva i talismani che le erano necessari per acquistare le sue conoscenze. Calzava delle rozze scarpe di pelle di vitello con lunghe fibbie con grossi bottoni di ottone all’estremità. Nelle mani aveva dei guanti di pelle di gatto, che al suo interno erano bianchi e villosi.”

Le tribù teutoniche e celtiche fin dai primi tempi hanno sempre tenuto le loro veggenti in grande considerazione. Per loro la sejdkuna possedeva una conoscenza dei misteri arcani del mondo e della vita che andava ben oltre la comprensione dei guerrieri. Essi arrivano a credere, scrisse lo storico romano Tacito, che “vi è qualcosa di divino in questo sesso. Ascoltano il consiglio delle donne docilmente, e le considerano oracoli”. Tacito, inoltre, menzionò la sua personale osservazione di una sejdkuna, che egli descrisse come la nebulosa e poetica Vedda, una profetessa solitaria che viveva in una torre da dove esercitava il suo potere su un vasto territorio.

Il praticante del sejdr, che fosse maschio o femmina, era considerato l’unica persona all’interno della tribù pagana ariana ad avere l’abilità e il potere di intraprendere missioni nel mondo degli spiriti in cerca di una speciale conoscenza del futuro o della guarigione dei malati. Il sejdmadr e la sejdkuna erano a volte visti ascendere al mondo degli spiriti arrampicandosi fisicamente su un albero o su una scaletta, che rappresentava simbolicamente l’albero del mondo Yggdrasil o l’asse cosmico. È interessante notare che la parola “sciamanesimo” deriva dalla parola vedica “sram” che significa “riscaldarsi o praticare digiuno”. Anche la parola norrena “sejdr” significa “riscaldamento o ebollizione”. La storia ci dice che lo sciamanesimo come pratica tradizionale è nato nella Russia Bianca. I nomi Freyja e Frey significano “Signora” e “Signore”. Tra i molti titoli di Freyja vi è quello di Regina delle Valchirie. “Valchirie” si traduce in “coloro che scelgono i caduti”.

La credenza in una donna magica a cavallo, inviata dai regni astrali, era molto diffusa nel Nord Europa. Sembra anche essere stata praticata in Normandia, poiché fu condannata da un’Assemblea di Vescovi a Rouen, da cui si può dedurre, stando a uno dei primi storici della mitologia del Nord, che questi viaggi avvenissero frequentemente in Normandia e che quando i Norvegesi si stabilirono in questa provincia non potettero rinunciare a questa credenza, anche dopo essere stati costretti ad accettare le estranee credenze cristiane.

Gli Scandinavi si riferivano al sé-ombra  o al sé non-fisico dell’uomo col termine “fylgia“, che tradotto approssimativamente significa “il secondo” o “quello che segue”. Il momento in cui questo doppio era più probabile scomparire dal corpo dell’uomo o della donna in cui abitava era durante il sonno. Nella leggenda il fylgia ha acquisito un’esistenza sempre più indipendente. Se vi fosse stata la necessità, si credeva che gli spiriti degli antenati si sarebbero manifestati in varie forme fisiche. Un fylgia era considerato l’alleato di un guerriero e un aiuto in battaglia contro gli spiriti ostili. Come le Dísir, avevano il dono profetico di prevedere il futuro e mettere in guardia dal pericolo.

Ci sono stati grandi rivelatori nei circoli mistici in tutte le società e in tutte le epoche, persone che hanno scoperto che il bene più grande che può essere conferito ai loro simili è quello di insegnare, soprattutto per trasmettere ciò che le loro vite incarnano. Queste sono persone che agiscono della loro saggezza. È sempre stato un percorso di vita difficile e arduo, a volte minaccioso, per coloro che insegnano e praticano la scienza arcana contenuta nei misteri pagani. Le nostre mitologie indigene, le leggende, le divinità e i racconti eroici, sono serviti come un territorio etnico sicuro per garantire la sopravvivenza stessa di questa antica conoscenza, che lega il nostro Popolo e rivela il nostro sé più profondo. Il Culto di Freyja non è altro che un percorso di impegno attraverso il vasto tesoro della saggezza, l’eredità e l’evoluzione spirituale che compongono il corpo del Wotanismo. Finché vivrà l’uomo ariano, Freyja, non diversamente dalle sue contemporanee, Frigga, Afrodite e Iside, rimarrà quella sublime eterna dea matriarcale che ci guida attraverso la matrice fisica e astrale del cosmo e del caos, per garantire sempre il nostro sviluppo personale al pari di quello del nostro Popolo.

PIETAS ETENA EUROPEA

Pietas etena

di Walter Baetke

Nella loro religione i nostri antenati onoravano poteri soprannaturali, la cui opera e influenza credevano di sentire – oltre che nel campo e nella foresta, nel cielo e nella terra – soprattutto nella loro vita. E questo è sempre stato l’elemento primario e più importante. L’uomo è infatti anche un figlio della Natura, ma è – in quanto essere dotato di parola e di intelletto – legato alla comunità in modo completamente diverso rispetto all’animale. I legami originali con la famiglia, il clan e il proprio popolo, in cui è nato, determinano la sua vita in un grado molto più alto rispetto ai suoi legami con la “Natura”, che è il campo della sua attività. Dalla comunità di popolo riceve la sua religione – come anche la sua lingua! Essa trasmette, nella cultura e nel mito – che egli apprende da essa – la sua relazione con la divinità. Ma più di questo: nel lavoro e nella lotta di questa comunità, nelle leggi che la regolano, nell’ordine che la lega, nei valori morali che detiene, è la volontà della divinità stessa a contemplare l’uomo. Qui, nella comunità, lo incontra per la prima volta; l’ordine e i giuramenti hanno la loro forza sacra e vincolante perché sono regolati secondo la vecchia fede degli dèi e si ergono sotto il loro controllo e la loro protezione.

Particolarmente suggestivi a questo proposito sono i messaggi delle saghe islandesi sulle feste sacrificali dei Norvegesi. Ai grandi festival annuali, apprendiamo, si sacrificava da un lato “per il raccolto” (o per un “buon anno”) e “la pace”, dall’altro lato per “la vittoria” e il governo del re. Questo dimostra che il sacrificio fatto dalla comunità di culto che rappresenta la comunità popolare era anche diretto alla vita e al destino di questa comunità. Il buon raccolto e la pace da un lato, la vittoria e il governo dall’altro: questo denota entrambi i pali attorno ai quali si muoveva la vita del popolo: il biologico-naturale e lo storico-politico. Qui la pace che abbraccia l’opera del contadino e culmina nella vendemmia, lì guerra, che, coronata dalla vittoria, genera onore e potere. Quando ci si avvicina agli dèi riguardo la festa sacrificale, si nota che si vedevano in loro datori e custodi di questi beni, di quei mezzi di tutto ciò che costituiva il fondamento, il contenuto e lo scopo della comunità di popolo. L’uomo europeo eteno credeva che la prosperità del suo lavoro pacifico – la coltivazione – così come il successo della vittoria in guerra, da cui dipendevano le circostanze di esistenza o di non-esistenza del popolo, erano nelle mani degli dèi.

Nella formula “til ars ok fridar” si trova, tuttavia, molto di più ci quanto ci dica la traduzione “per (buon) anno e pace”; perché la parola “pace” indica non solo lo stato di pace in contrapposizione alla guerra, ma anche l’ordine morale e giusto su cui riposa la normale vita pacifica della comunità umana. Difficilmente si può esprimere il significato religioso di quella vecchia formula meglio che con le parole di Schiller: “Sacro ordine, figlia benedetta del cielo, che lega il tutto libera e leggiadra e gioiosa”. Come gli dèi sono i donatori dei beni, i beni materiali, come sono i direttori della guerra, gli amministratori della vittoria e quindi i padroni del destino del popolo, così sono anche i guardiani della pace sacra che è ancorata nel diritto e nella legge.

È più difficile ottenere un’immagine dell’atteggiamento religioso interiore dell’uomo europeo eteno, di quella pietas unica al suo genere, di quanto si faccia rispetto alle forme di servizio religioso e all’effetto della religione sulla vita pubblica. La sacralità e la forza della divinità producono tra i credenti la sensazione di dipendenza. Ma questo sentimento di dipendenza dal suo dio era, per l’uomo europeo eteno, privo del servilismo dello schiavo. Piuttosto al contrario, era portato da una fiducia forte e coraggiosa. Nel norreno “Trua” (“fiducia”) si trova il termine per il credo religioso, e il dio che l’Islandese invocava maggiormente nelle tribolazioni e nelle difficoltà della vita, era chiamato il suo “fulltrui“. Significa colui che merita la piena fiducia. Come il norvegese Thorolf Mosterbart, molti uomini eteni di fronte a decisioni difficili cercavano il loro bene dal loro dio e ottenevano il suo consiglio. Se ci si riconosceva sotto la protezione del dio potente, era soltanto naturale che si vedesse in lui “l’amico” fidato. E abbiamo molte prove che soprattutto Thor godesse di questo apprezzamento. Astvinr (“caro amico”) è chiamato in una saga. Un rapporto così bello e degno non sminuisce la distanza tra l’uomo e dio, su cui riposa tutta la pietas; ma una pietas che veniva da colui che dava all’uomo la sicurezza e la forza; questa è la caratteristica più nobile nel quadro della religione europea etena.

OSSERVAZIONI NELL’ASTRONOMIA EDDICA

Come i passaggi nelle Edda fanno da riferimento alle costellazioni

del Dr. Christopher E. Johnsen © 2014

 

1petrogylph

Immagine da un petroglifo dell’Età del Bronzo
Böhuslan, Svezia

I miti norreni hanno un sapore distintivo, ma anche molte similitudini con le mitologie greche, romane, persiane e indiane. Questi miti di altre culture hanno molte corrispondenze ben note con le stelle, mentre la tradizione mitica norrena è scarsa in questo, o forse sarebbe meglio dire che sono state intenzionalmente nascoste e le chiavi per decifrare queste corrispondenze perdute.

 L’astronomia, stjörnuíþrótt in antico norreno, è la scienza dell’osservazione delle stelle – e pare che gli antichi fossero molto bravi a farlo.  È probabile che le persone che vivono nel lontano nord, vicino al circolo polare artico, avessero una naturale tendenza a concentrarsi sull’osservazione delle stelle in quanto tante notti invernali erano riempite da nient’altro che tenebre e stelle sopra da osservare, con poco sole presente intorno al solstizio d’inverno.

Le radici dell’astronomia moderna possono essere ricondotte alla Mesopotamia, e discendono direttamente dagli astronomi babilonesi che a loro volta dovevano la loro conoscenza agli astronomi Sumeri.  I primi cataloghi stellari babilonesi risalgono a circa il 1200 a.C. e molti nomi di stelle sono in sumero, suggerendo che i Sumeri furono uno dei primi popoli, se non il primo, a studiare le stelle che sono state osservate nel registro archeologico o a ereditare una tradizione astronomica da una cultura sconosciuta precedente.

I Sumeri svilupparono il più antico sistema di scrittura noto – cuneiforme – la cui origine è attualmente datata al 3500 a.c. circa. Sono state trovate tavolette di argilla cotta con scrittura cuneiforme che registravano osservazioni dettagliate delle stelle che riconducevano all’astronomia specializzata dei successori dei Sumeri, i Babilonesi. Solo frammenti di queste tavolette di scrittura che esponevano l’astronomia babilonese sono sopravvissuti attraverso i secoli. Molti credono che “tutte le successive varietà di astronomia scientifica, nel mondo ellenistico, in India, nell’Islam, e in Occidente — se non addirittura tutti gli sforzi successivi nelle scienze esatte — dipendono dall’Astronomia babilonese in modi decisivi e fondamentali”1.  Si potrebbe dire che questa affermazione valga anche per gli astronomi norreni dell’antichità e che stavano continuando l’antica tradizione sumero/babilonese.

1cuneiform

I Sumeri crearono il concetto di divinità planetarie e usarono anche un sistema di numeri sessagesimale (in base 60).  Questo metodo di calcolo ha facilitato la manipolazione di numeri molto grandi e molto piccoli ed è la base per la pratica moderna di dividere un cerchio in 360 gradi. Il numero 60 ha dodici fattori, vale a dire 1, 2, 3, 4, 5, 6, 10, 12, 15, 20, 30 e 60. Con così tanti fattori, la manipolazione delle frazioni che coinvolgono i numeri sessagesimali è semplificata.

 

 

 

 

Per esempio, un’ora può essere divisa uniformemente in 30 minuti, 20 minuti, 15 minuti, 12 minuti, 10 minuti, 6 minuti, 5 minuti, 4 minuti, 3 minuti, 2 minuti e 1 minuto. 60 è anche il più piccolo numero che è divisibile per ogni numero da 1 a 6; cioè, è il più basso comune multiplo di 1, 2, 3, 4, 5 e 6. I numeri sessagesimali sono i più facili da usare in astronomia poiché i movimenti dei corpi celesti, visibili dalla terra, si verificano in tondo e il cielo può così essere equamente diviso.

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Proiezione stereografica dell’emisfero celeste settentrionale sul piano equinoziale.

L’astronomia può essere utilizzata per determinare sia il tempo che la posizione da un’osservazione accurata, rendendosi così utile per scopi agricoli poiché in grado di osservare e registrare i movimenti ciclici di luna, stelle e pianeti, nonché per la navigazione su terra e via mare.  Poiché i Norreni avevano una società agricola, il benessere delle persone dipendeva dalla tempistica del piantare correttamente e lo studio delle stelle poteva essere utilizzato per creare un calendario al fine di massimizzare la resa delle colture. Erano anche marinai e viaggiavano su vaste distanze tra diverse terre sul mare e avevano bisogno di un preciso metodo di navigazione, al fine di arrivare dove stavano andando.

Molti dei poemi norreni erano capolavori linguistici che sembrano essere progettati per aiutare la loro memorizzazione. Questo sarebbe anche naturale per una cultura che era più abituata alla recitazione in luoghi pubblici come metodo di comunicazione per le masse. Gran parte di questa cultura è probabile che fosse pre-letteraria o illetterata e la memoria era notevolmente più importante in assenza di una scrittura formalizzata. I poemi più facili da memorizzare avrebbero goduto di una maggiore distribuzione e vita di quelli più difficili e questa tradizione mitologica orale era un modo di trasmettere la conoscenza dell’astronomia alle generazioni future.

L’origine delle stelle e dei pianeti e anche la loro distruzione finale nel Ragnarök è discussa nel poema norreno Völuspa. Nell’Edda di Snorri Sturluson, il testo descrive come il gigante Ymir fosse stato ucciso e il suo corpo usato da tre dèi, Odino, Vili e Ve, per creare la terra.  Il suo cranio è stato trasformato nel “Firmamento” pensato per sostenere le stelle che erano prodotte dalle scintille del Muspellheim. Quattro nani reggono il cranio dell’antico gigante e sono chiamati come i punti cardinali della bussola.

 

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Sembrerebbe che le persone che hanno creato le storie (forse per trasmettere questa saggezza ai loro figli e discendenti) sugli dèi e le dèe potrebbero aver certamente codificato informazioni sui fenomeni astronomici. Sembrano esservi riferimenti astronomici nascosti nei miti norreni e vi è anche la prova che i Norreni siano stati eredi di questa antica tradizione sumero/babilonese e questo diviene più chiaro quando guardiamo alcuni numeri particolari trovati nella mitologia.

Vi è una certa quantità di numeri astronomicamente significativi presenti nell’Edda e ci sono indizi nei miti norreni che indicano che i poeti hanno ereditato e trasmesso una tradizione astronomica di numeri sessagesimali. Molti, importanti numeri unici, si trovano all’interno del Grímnismál o Discorso del Mascherato, dove si dice:

Fimm hundruð dura
ok umb fjórum tögum,
svá hygg ek á Valhöllu vera;
átta hundruð Einherja
ganga senn ór einum durum,
þá er þeir fara við vitni at vega.
23. Cinquecento e
quaranta porte vi sono,
Io credo, nelle mura di Valhalla;
Ottocento combattenti
attraverso una porta passano
Quando in guerra vanno con il lupo.

(Traduzione di Henry A. Bellows, 1923)

540 ha 20 fattori, una unità numerica standard conosciuta come una partitura, e 27, che pare anche essere un numero chiamato ciclo lunare siderale o il numero di giorni che servono alla luna per tornare allo stesso posto nel cielo.  Quando si moltiplica 540 per 800 il risultato è 432.000 che è un numero astronomicamente significativo.

Un sacerdote caldeo di nome Berossos, che scrisse in greco intorno al 289 a.C., riferì la convinzione mesopotamica che fossero trascorsi 432.000 anni tra l’incoronazione del primo re terreno e la venuta del diluvio (2). Nella storia babilonese o sumera, vi furono in totale dieci re che vissero vite molto lunghe dalla creazione al periodo dell’inondazione, che è un totale di 432.000 anni.  Questo numero rappresenta il numero di anni nel grande anno babilonese e il tempo necessario dei pianeti per tornare alla loro identica posizione nel cielo (3).  Scoprire che questo antico numero babilonese/sumerico, non arbitrario, utilizzato nella loro mitologia e astronomia, è presente anche nei miti norreni, è notevole.

Nel relativo racconto biblico, vi furono dieci Patriarchi tra Adamo e Noè, che vissero anch’essi a lungo. Noè aveva 600 anni al momento dello sbarco dell’Arca sul Monte Ararat. Gli anni totali raggiungono 1.656. In 1.656 anni ci sono 86.400 settimane, e la metà di questo numero è 43.200. Raddoppiare e dimezzare queste cifre sembra essere un tema comune. Il numero di anni da Adamo a Noè sembra nascondere il numero del ciclo del tempo e indica che il compositore di questo testo e anche il compositore del poema norreno avevano una conoscenza di funzionamento del ciclo terrestre di precessione, che tale numero indica.

La precessione è l’oscillazione periodica della terra, che gira come una trottola.  Quando la terra oscilla, lo fa su un periodo molto lungo di tempo e la oscillazione fa una rivoluzione completa solo ogni 25.920 anni.  Questa cifra divisa per il numero di base sessagesimale 60 risulta nel numero 432. Ci sono ulteriori prove che gli antichi norreni suddividevano il cielo in fette uguali di una torta circolare di 360, riecheggiando l’approccio di Babilonesi e Sumeri con il loro uso di calcoli sessagesimale, proprio come noi usiamo attualmente strumenti sessagesimali come l’orologio, accanto alla comune matematica decimale.

eclittica

rotazione astri

È chiaro che gli astronomi babilonesi pensavano in termini di sei e dodici più di quanto faccia la nostra cultura attuale, in cui pensiamo in termini di decine, centinaia e migliaia. Il calcolo sessagesimale, 60 x 60 x 120, è uguale a 432.000. Per una società  basata su sestine e dozzine, parlare di 432.000 di qualcosa è come parlare di un centinaio di migliaia di qualcosa la gente di oggi. Per un astronomo babilonese, 432.000 sembrerebbe come un bel numero regolare perché ha molteplici fattori che sono facili calcoli sessagesimali.

Grímnismál contiene anche una descrizione della cosmologia norrena e delle case degli dèi. Come notato sopra, questo carme contiene il numero astronomicamente significativo 432.000, tuttavia, una parte precedente del poema che descrive le case e le terre degli dèi ha l’influenza sessagesimale dato che sono descritte dodici case degli Dèi e Dèe:

1. Thrudheim per Thor così come Ydalir (la Valle dei Tassi apparentemente in Thrudheim) per Vulder che è il suo figliastro.
2. Alfheim per Frey
3. Valaskialf per Vali
4. Sokkvabekk per Saga (Frigga)
5. Gladsheim per Odino che lì ha la sua sala – il Valhalla
6. Thrymheim per la gigantessa Skadi che la governa dopo la morte di suo padre Thiazi.
7. Breidablik per Balder
8. Himinbiörg per Heimdal
9. Folkvang per Freya
10. Glitnir per Forseti
11. Noatun per Njord
12. Landvidi per Vidar

Le dodici case degli dèi accennate, possono essere suggerite come situate nel cielo, poiché il cielo per molte migliaia degli anni è stato diviso in dodici “case” uguali a quelle conosciute nell’astrologia moderna. Case e sale sono la stessa cosa sia nel presente che nel passato.

Qui ci sono antichi numeri mesopotamici che appaiono in un poema norreno – cosa che è molto interessante, non è vero? Oltre a questi numeri, tuttavia, ci sono alcuni altri indizi che le poesie stanno descrivendo luoghi stellari e corpi celesti.

Nella Skáldskaparmál, Edda in prosa, Aurvandill, il primo marito di Sif e padre di Vulder, è menzionato nel contesto di un viaggio che ha intrapreso con il Dio Thor:

[Þórr]  hafði vaðit norðan yfir Élivága ok hafði borit í meis á baki sér Aurvandil norðan ór Jötunheimum, ok þat til jartegna, at ein tá hans hafði staðit ór meisinum, ok var sú frerin, svá at Þórr braut af ok kastaði upp á himin ok gerði af stjörnu þá, er heitir Aurvandilstá.   Thor aveva guadato dal nord sopra il fiume Elivagar e aveva sopportato Aurvandill in un cestino sulla sua schiena dal nord di Jötunheim. E aggiunse per ricompensa, che una delle dita di Aurvandill fu bloccata dal cesto, e divenne congelata; pertanto Thor lo spezzò e lo gettò nei cieli, e ne fece la stella chiamata Dito di Aurvandill.

Il Norreno Aurvandill è equivalente dell’Antico Inglese Ēarendel ed è stato ritenuto significare  “il vagabondo luminoso”, una descrizione ragionevole del pianeta Venere, dal momento che “pianeta” significa “vagabondo”.  Sembrerebbe ragionevole che i Norreni si riferissero a Venere nel mito in cui Thor lancia il dito di Aurvandill verso il cielo.

L’Antico Inglese Earendel appare nei glossari tradurre Iubar come “Radiosità” o “Stella del Mattino”. Nel poema antico inglese Crist I si leggono le linee:

 éala éarendel engla beorhtast
ofer middangeard monnum sended
and sodfasta sunnan leoma,
tohrt ofer tunglas þu tida gehvane
of sylfum þe symle inlihtes.
Ave o Earendel, più luminoso tra gli angeli,
dalla Terra di Mezzo mandato agli uomini,
e vera radiosità del Sole
splendi tra le stelle, ogni stagione
sempre più luminoso di te stesso.(4)

Il nome Earendel è qui preso per riferirsi a Giovanni il Battista ed è indirizzato come la stella del mattino che annuncia la venuta di Cristo, il Sole. Naturalmente, ci sono altre teorie, tra cui Richard Allen che collega Orione con Aurvandill, identifica la stella Rigel come una delle sue dita dei piedi e la punta congelata e spezzata come la stella Alcora (5).

Ci sono anche riferimenti diretti a corpi celesti nella mitologia norrena. Il poema Alvismal contiene una serie di domande e risposte su come i corpi celesti sono chiamati da varie razze. Thor chiede ad Alvis queste domande per testare la conoscenza del nano che vuole essere il pretendente di sua figlia Thrud.

Illustrazioni di William Gershom Collingwood (1854-1932)

 Þórr kvað:

“Segðu mér þat, Alvíss,
– öll of rök fira
vörumk, dvergr, at vitir -:
hvé sú jörð heitir,
er liggr fyr alda sonum
heimi hverjum í?”

Thor parlò

9. “Rispondimi, Alvis!
tu che conosci tutto,
Nano, del destino degli uomini:
Come chiamano la terra,
che giace dinanzi a tutti,
in ognuno dei mondi?”

Alvíss kvað:

“Jörð heitir með mönnum,
en með ásum fold,
kalla vega vanir,
ígræn jötnar,
alfar gróandi,
kalla aur uppregin.”

Alvis parlò:

10. ” ‘Terra’ per gli uomini, ‘Campo’
è per gli Dèi,
‘Le Vie’ è chiamata dai Vanir;
‘Sempre Verde’ dai Giganti,
‘Crescente’ dagli Elfi,
‘La Poltiglia’ dagli Altissimi.”

Þórr kvað:

“Segðu mér þat, Alvíss, –
öll of rök fira vörumk,
dvergr, at vitir -:
hvé sá himinn heitir,
erakendi,
heimi hverjum í?”
 Thor parlò:

11. “Rispondimi, Alvis!
tu che sai tutto,
Nano, del destino degli uomini:
Come chiamano i cieli,
vista che sta in alto,
In ognuno dei mondi?”

Alvíss kvað:

“Himinn heitir með mönnum,
en hlýrnir með goðum,
kalla vindófni vanir,
uppheim jötnar,
alfar fagraræfr,
dvergar drjúpansal.”

 Alvis parlò:

12. ” ‘Cielo’ lo chiamano gli uomini,
‘L’Altezza’ gli dèi,
I Vanir ‘Il Tessitore di Venti’;
I Giganti ‘Il Mondo di Sopra’,
gli Elfi ‘Il bel Tetto’,
I Nani ‘La Sala Grondante.'”

 Þórr kvað:

“Segðu mér þat, Alvíss,
– öll of rök fira vörumk,
dvergr, at vitir -:
hversu máni heitir,
sá er menn séa,
heimi hverjum í?”

 Thor parlò:

13. “Rispondimi, Alvis!
tu che sai tutto,
Nano, del destino degli uomini:
Come chiamano la luna,
che gli uomini ammirano,
In ognuno dei mondi?”

Alvíss kvað:

“Máni heitir með mönnum,
en mylinn með goðum,
kalla hverfanda hvél helju í,
skyndi jötnar,
en skin dvergar,
kalla alfar ártala.”

Alvis parlò:

14. “‘Luna’ tra gli uomini,
‘Fiamma’ gli dèi di sopra,
‘La Ruota’ nella casa degli inferi;
‘L’Andante’ i Giganti,
‘La Splendente’ i Nani,
Gli Elfi ‘Colui che dice i tempi.”

Þórr kvað:

“Segðu mér þat, Alvíss,
– öll of rök fira vörumk,
dvergr, at vitir -:
hvé sú sól heitir,
er séa alda synir,
heimi hverjum í?”

Thor parlò:

15. “Rispondimi, Alvis!
tu che sai tutto,
Nano, del destino degli uomini:
Come chiamano il Sole,
che tutti vedono,
In ognuno dei mondi?”

 Alvíss kvað:

“Sól heitir með mönnum,
en sunna með goðum,
kalla dvergar Dvalins leika,
eygló jötnar,
alfar fagrahvél,
alskír ása synir.”

Alvis parlò:

16. “Gli uomini lo chiamano ‘Sole,’
gli Dèi ‘Sunna’,
‘Ingannatore di Dvalin’ i Nani;
I Giganti ‘Il sempre Splendente’,
gli Elfi ‘Bella Ruota’,
‘Tutto-splendente’ i figli degli Dèi.”

(Traduzione di Henry A. Bellows, 1923)

I nani avrebbero avuto un’ampia opportunità di osservare il cielo notturno poiché si tramutavano in pietra se esposti alla luce del sole.  Queste kenning non sono ovvie per i fenomeni descritti e il “codice” rivelato da Alvis è uno dei pochi casi nei poemi norreni in cui è reso chiaro che la conoscenza del cielo e delle stelle era presente tra coloro che hanno scritto i miti.

Ci sono altri indizi nella poesia eddica e scaldica a indicare che gli Antichi Norreni fossero informati in astronomia, tuttavia le prove citate sopra sono quelle più facilmente riconoscibili tra le varie poesie che compongono il corpus di ciò che noi chiamiamo Mitologia Norrena. Molte più corrispondenze possono essere dedotte o intuite dal confronto con la mitologia romana, greca e indiana, che hanno meglio conservato i legami astrali con i miti, e questo è un campo di studio affascinante che merita una ricerca ulteriore.

1. A. Aaboe (May 2, 1974). “Astronomia Scientifica nell’Antichità”. Transazioni Filosofiche della Royal Society 276 (1257): 21–42. doi:10.1098/rsta.1974.0007. JSTOR 74272.
2. Thorkild Jacobsen, Lista dei Re Sumeri, 1939, pp. 71, 77.
3. Ogier, J. Costellazioni Eddiche.
4. Crist I (ll. 104–108) di Cynewulf.
5. Richard Hinckley Allen, Star Names; Their Lore and Meaning.

Mezza Estate

Solstice

Affiorare lei vede
ancora una volta
la terra dal mare
di nuovo verde.
Cadono le cascate,
vola alta l’aquila,
lei che dai monti
cattura i pesci.

Si ritrovano gli Æsir
a Idavoll,
e del serpente intorno al mondo
possente, ragionano,
[e rammentano là
le grandi imprese,]
e di Fimbultýr
le antiche rune.

Lì di nuovo
meravigliose
le scacchiere d’oro
si ritroveranno nell’erba.
Eran quelle che anticamente
avevano posseduto.

Cresceranno non seminati
i campi;
ogni male guarirà,
farà ritorno Balder.
Abiteranno Hoder e Balder
le vittoriose rovine di Hropt,
felici dèi guerrieri.
Volete saperne ancora?

Allora Hœnir
l’aspersorio sceglierà,
e i figli abiteranno
dei due fratelli
l’ampio mondo del vento.
Volete saperne ancora?

Vede lei ergersi una corte
più bella del sole,
d’oro ricoperta,
in Gimli.
Là abiteranno
schiere di giusti.

LO SPIRITO GUERRIERO WOTANICO

fuoco-sacro

di Vjohrrnt V. Wodansson

Tra le tante parodie riguardanti questa presunta rinascita della tradizione primordiale del Wotanismo, sicuramente uno degli aspetti più contorti è la totale mancanza di spirito wotanico nell’uomo. Nel cammino guerriero degli Einherjar, i guerrieri senza paura scelti da Wotan hanno perso la pelliccia di lupo e la pelle d’orso lasciando il posto a un ben preciso e innaturale pensiero cristiano umanitario. Ogni traccia del dono del Padre di Tutto all’Uomo: l’Oend (soffio vitale) e l’Odhr (Furia) di suo fratello Hœnir, sono stati portati via da coloro che non vorrebbero mai vedere un vero uomo e la sua gente levarsi in piedi fieri sfidando i falsi valori decadenti e i dogmi imperfetti del Giudeo-cristianesimo. Il ponte per le sale dorate del Valhalla è stato chiuso e le Valkyrie non cavalcano più in cerca di caduti sul campo di battaglia, perché non c’è più nessuno che faccia la guerra al modo in cui un tempo facevano gloriosamente i nostri antenati e i loro padri prima di loro. In alto sul suo trono, il Dio da un occhio solo deve sicuramente essere ansioso di qualche notizia da Hugin e Mugin… la notizia di un risveglio eteno.

In sostanza, le tradizioni integrali dell’Etenismo Nordico, sia esso slavo, celtico, teutonico, ecc, hanno tutte in sé il percorso guerriero su tutti gli altri. Le antiche tribù barbariche conoscevano questo come un processo naturale nella vita di un uomo: la ricerca del risveglio del fuoco interiore immemore, il soffio vitale di Wotan. Si tratta di un innegabile istinto primordiale nell’uomo, quello di cercare di dimostrare il proprio valore non solo agli altri, ma prima di tutti a se stesso. Già fin da giovanissimo, al ragazzo era data la sua prima spada e venivano insegnate le arti del combattimento dal padre. Non appena un ragazzo si rende conto di poter morire e di avere anche il potere di dare la morte ad un altro, diventa un uomo. Nei nostri tempi moderni, ai ragazzi viene fatto il lavaggio del cervello in età molto giovane per perdonare, accettare, tollerare e amare senza restrizioni o discriminazioni. Questa NON è la via del guerriero. Perché non è nella natura dell’uomo “amare” e “tollerare” nella misura in cui ciò diventi una sua debolezza, che quindi riflette sulla sua gente. L’amore, la tolleranza, l’accettazione e il perdono non sono necessariamente sbagliati, ma bisogna essere selettivi su chi è il destinatario di questi valori. La natura profonda dell’uomo è combattiva e bellicosa. Wotan spesso ha cercato di creare conflitti tra clan solo per divertirsi nelle guerre degli uomini e ciò gli permise anche di vedere chi era fedele ai suoi insegnamenti e chi non aveva capito la via della spada.

Nel contemporaneo movimento “Asatru”, ci sono molti nostri simili che trascurano questo percorso d’onore. Si concentrano unicamente sull’aspetto essoterico del culto Asatru e trascurano l’essenza esoterica. Il vero “blot” è un elemento tradizionale della cultura pagana della nostra gente e un modo per comunicare con gli Dei e le Dee, ma il vero potere di qualsiasi rito di venerazione sta nel suo simbolismo primordiale. Anche senza riti, costumi, persino parole, la potenza del rito è ancora schiacciante e il suo significato iniziale ancora compreso da Dei e Dee. E una parte importante di questa tradizione esoterica è il percorso del guerriero. Per il vero guerriero, le battaglie non si vincono solo sul campo di battaglia, ma nell’anima, nel cuore e nello spirito. La più grande battaglia che si potrà mai combattere non sarà mai contro un nemico umano, che dopo tutto è semplicemente “umano”, ma contro la propria capitolazione dinanzi al percorso scelto. L’Einherjar segue una strada molto solitaria e difficile, piena di imboscate continue e tradimenti. Si tratta di un percorso volontariamente scelto e, una volta intrapresa questa strada pericolosa, non si può tornare indietro, poiché ne va del proprio orgoglio e onore.

Per l’uomo moderno non ci sono sfide, non ci sono grandi guerre, e nessuna missione onorevole che possa risvegliare l’antico fuoco. L’uomo di oggi è troppo impegnato a guardare il calcio, guidare auto sportive, vantarsi delle sue conquiste sessuali ed essere solo pigro, puro e semplice. Ogni virilità e traccia di virilità è sparita. Sostituita da attributi femminili come la morbidezza e la sensibilità. E qui NON sto svalutando le nostre sorelle etene, ma affermo semplicemente un dato di fatto. Questi attributi, come la sensualità, la maternità, riguardano il lato femminile e tutto l’aspetto lunare della natura femminile. L’uomo è una rappresentazione solare di quella natura primordiale.

Il mondo pacifista in cui viviamo cerca con tutti i mezzi possibili di rovesciare, e anche peggio, incrociare queste nature, cercando di fonderle insieme in modo da eliminare ogni traccia di ciascuna. Il fine è riconquistare l’essere androgino originale. Questo è assolutamente intollerabile per ogni vero uomo e donna del nostro Popolo. Non possiamo negare la nostra natura. Possiamo solo trascenderla. Ci sono molti esempi di nostri simili auto proclamati Asatru che hanno condannato ogni approccio violento o combattivo delle tradizioni etene. Alcuni arrivano persino al punto di accettare Cristiani e non-Ariani nei loro kindred. Alcuni gruppi sostengono la tolleranza in rete e cercano di ritrarre il Paganesimo Integrale come una religione hippy di amore che adora la natura. Questo è il moderno approccio di molte “tradizioni” neo-pagane, molti movimenti pseudo-pagani che promuovono apertamente l’omosessualità e il consumo di droga e credono che camminare a piedi nudi nel bosco li renda “un tutt’uno con la natura” e le loro droghe allucinogene li aiutino a comunicare con Diana, Pan o chiunque altro. Questi gruppi che dichiarano di essere veri seguaci delle antiche vie, attaccano i Wotanisti tradizionali con false accuse di pervertire l’essenza della Fede, quando in realtà sono loro che la stanno sovvertendo in una religione umanitaria/universalista. Gli antichi vichinghi erano conquistatori e guerrieri senza paura che non mostravano alcuna pietà verso i loro nemici e non facevano assolutamente proselitismo per la fede dei loro padri tra le altre razze. Persino in Europa gli antichi Vichinghi non hanno imposto le loro credenze ad altri europei, perché le vie del Nord non erano e continuano non essere destinate a tutti. Quando si guarda al pantheon norreno, molte delle divinità principali, come Wotan, Thorr, Tyr, Heimdall, e anche la bella e sempre temibile Freiya e le sue Valkyrie, tutti loro, maschi e femmine, hanno un punto centrale che li unisce: LA GUERRA! Il combattimento, la difesa, tutti aspetti di natura bellicosa. Quindi, come può questa più essenziale tradizione pagana diventare così temuta e vergognosa oggi giorno?

Lasciare che l’antico fuoco interiore vada spegnendosi, comporterà solo l’indebolimento del vostro spirito e di quello della vostra gente intorno a voi. Quella fiamma che brucia alta nei cuori del vero popolo è l’essenza stessa dello spirito del nostro popolo. Il fuoco primordiale è combinato al ghiaccio primordiale rappresentato dalla nostra freddezza: la nostra dissociazione dalla decadente e malconcia fede giudaico-cristiana. Loro cercano di diffondere la loro fede come una piaga in tutto il mondo e schiavizzare il maggior numero possibile di poveri esseri umani dormienti e ignari, mentre noi dovremmo sforzarci di tenere i nostri modi per noi stessi e aprire i nostri cuori soltanto, e molto selettivamente, a certi individui orgogliosi che hanno sentito la chiamata del corvo. È inutile cercare di risvegliare tutte le menti insonnolite dal loro lungo torpore, i venti del Nord canteranno a loro solo quando saranno pronti e degni di decifrare il loro nome nella loro musica. Per la maggior parte di loro, una morte senza onore li prenderà molto prima. Diversamente dal dio dei deboli, Wotan non si cura della quantità; un milione di deboli vigliacchi non potrà mai corrispondere a un centinaio di Einherjar orgogliosi e forti. Perché attraversare Bifrost e vivere per sempre nelle Sale di lance e scudi d’oro dove verità, valore e coraggio sono considerati come segno distintivo dell’anima nobile, è un onore che sarà concesso solo ai guerrieri.

È imperativo rimettere in prospettiva i veri principi del culto wotanico. Le vie della pace sono per coloro che abbandonano la lotta, che voltano le spalle al loro popolo e alle memorie dei loro antenati. Quei “neo-pagani” fai da te stanno offuscando la purezza della Fede. Il “neo” va contro la tradizione ed è quindi un insulto alle credenze della nostra gente. Quello che fanno è diluire l’essenza e piegarla in qualcosa di accettabile e interessante per le masse. La nostra strada è quella della guerra, a livello fisico e spirituale. Noi muoviamo guerra contro coloro che vorrebbero negarci la libertà di vivere la nostra vita come i nostri padri. Di essere orgogliosi della nostra eredità, della nostra cultura e del nostro sangue. Di difendere le nostre tradizioni, la nostra gente e la nostra Fede. Di onorare le 14 parole, e di essere uomini e donne di integrità e onore in un mondo privo di entrambi. Di essere guerrieri.