LA NOSTRA FEDE

di Alex Christensen

Dallo stretto contatto con le vie della Natura in terra, mare e aria, i nostri antenati formarono una vera e propria base filosofica per tutto lo sviluppo umano. La Fede Odinista insegna un tema semplice ma bello, tratto da questa comunione con la Natura.

Vedevano il sole e le stelle, osservavano la grandezza della notte e del giorno, vedevano la semina e la mietitura, e si interrogavano su queste cose. Pensavano alla natura dell’Uomo e di tutte le cose. Credevano che non ci fosse separazione dell’Uomo dal resto dell’universo senza tempo, e che l’Uomo fosse una parte essenziale dell’universo. Credevano di essere essi stessi parte dell’Eterno.

Credevano, tuttavia, che fosse al di là dei poteri dell’Uomo comprendere l’universo. La parte dell’universo che è al di là della conoscenza e del potere di un uomo non è sua preoccupazione, né ne è responsabile. Non può alterare il corso di una stella.

Credevano di essere i figli e le figlie dell’universo, di Dio, e che gli attributi di Dio, il Padre di Tutto, fossero loro, per quanto limitati e qualificati potessero essere tali attributi. L’uomo poteva percepire solo una parte dell’essere del Padre di Tutto. L’uomo aveva abbastanza saggezza per rendersi conto che la parte che conosceva non era che una piccola parte del Padre di Tutto.

Questi vari poteri erano diversi per persone diverse. Alcuni uomini avevano idee diverse del Padre di Tutto perché erano espressioni di diversi Poteri di Dio.

Questi diversi poteri di Dio furono riconosciuti dai nostri antenati e chiamati Padre-Spirito di quella particolare persona. Attraverso il Padre-Spirito, gli uomini divennero parte dell’universo e la vita sulla terra era semplicemente più soggetta al tempo rispetto alla vita dopo la morte. Dopo la morte sulla Terra, il loro spirito tornava al Padre-Spirito e viveva come entità senza tempo.

Credevano che ogni uomo avesse il suo posto nell’universo – la sua Gard[1] in Dio. L’uomo nasce in certe circostanze, con certi poteri e opportunità, con certe capacità e limitazioni, con una certa visione che gli mostrerà la sua Gard in Dio, il suo posto nell’universo.

La Gard dell’uomo in Dio è la sua strada, il suo compimento; la sua ispirazione, la sua responsabilità. Ogni uomo ha la sua Gard in cui servire ed esercitare sempre il suo Genio, avere il suo raccolto per vivere e lavorare. La Gard di un uomo è il suo privilegio – i suoi diritti e doveri sono ugualmente belli, perché lo portano in comunione con l’universo.

La vecchia fede si rallegrava alla presenza del Padre di Tutto. Si sforzava continuamente di essere in accordo con le manifestazioni di Dio, per quanto l’uomo potesse vederle. L’uomo gioiva della vita. I suoi semplici doveri erano alla sua portata e, dopo averli eseguiti, la sua eredità era assicurata.

La vecchia fede insegnava che la Gard di un Uomo in Dio era sacra. Nessun uomo può ignorare la sua Gard senza causare dolore e distruzione a sé stesso e ai suoi parenti. Nessun uomo può ignorare il suo Spirito-Padre, che si esprime negli istinti e nel corpo dell’Uomo, senza causare la caduta e la morte.

Tutti gli uomini sono figli dei poteri di Dio. Tutti gli uomini sono di origine divina. Così le funzioni dell’Uomo sono questioni di rispetto e di onore. Il lavoro è sacro e dà la vita, in quanto porta il lavoratore a stretto contatto con la Verità e le Vie di Dio.

Sebbene sia al di là del potere dell’Uomo comprendere pienamente l’Assoluto, ci sono capacità, più o meno coscienti in tutti noi, di sentire e osservare qualcosa dei poteri di Dio.

Il Padre di Tutto va oltre l’esperienza e la comprensione dell’Uomo. Egli è saggio in tutto, ha comprensione di tutto, non è limitato dal Tempo e dallo Spazio.

[1] Gard = dominio terrestre.

FEDE?

di Harvald Odinson Jones

Nel corso degli anni in cui ho seguito il percorso spirituale noto come Odinismo, ci sono state molte persone che mi hanno chiesto con curiosità della mia “fede”. Sono sorpresi quando li fermo proprio lì e dico loro che l’Odinismo non è una “fede” ma uno stile di vita. Nel loro stupore non sono sicuri di cosa dire o chiedere dopo. Questo perché oltre il novantanove per cento delle popolazioni del mondo crede che tutti i percorsi spirituali si basino sulla fede.

Sono sicuro che molte delle persone che seguono l’Odinismo potrebbero persino credere che sia solo un percorso basato su una fede che non può essere dimostrata. Beh, lasciate che vi rassicuri: la strada che seguiamo e in cui i nostri antenati credevano così pienamente, è una delle pochissime vie spirituali che possono essere dimostrate. Se avvicinate qualcuno di vostra conoscenza che segue un qualche tipo di religione basata sulla fede, chiedete loro di dimostrarvi che il loro “dio” esiste. Vi garantisco che non saranno in grado di farlo. La loro risposta sarà che credono a questo o quello. Possono anche dire che la loro Sacra Scrittura dice questo o quello, ma ancora non saranno in grado di mostrare alcun tipo di prova. Possono anche cercare di dire che la loro “prova” è tutto ciò che vediamo di questo mondo e dei cieli. Ogni percorso ha una storia di creazione, quindi chiedete loro di dimostrare che il loro “dio” ha creato tutto. Dato che questo è qualcosa che state facendo per voi stessi, quando avvicinate e vi congedate dalla persona, fatelo con rispetto. Questa non è un’opportunità per sminuire qualcuno o magari iniziare una guerra santa in miniatura. Dovreste essere felici per loro se in qualche modo hanno una sorta di pace, per quanto attraverso occhiali color rosa.

Gli Dèi e le Dèe che rispettiamo e onoriamo sono esseri reali e viventi che chiunque guardi con una frazione di mente aperta vedrebbe. Gli Dèi si rivelerebbero a quella persona a tal punto che non sarebbe in grado di negarli. Dimostrerò rapidamente il mio punto di vista in questo momento. Tutti, quando pensano a un “Dio”, lo vedono, o la vedono, li vedono in modo diverso rispetto ad altre persone. Gli Dèi della via del Nord si mostrano in modi diversi in modo che sia più facile vederli, e così tante persone sorprendentemente non lo fanno. Lasciate che vi faccia qualche domanda, credete nel potere del Sole? Credete nel potere della mente? Credi che gli anziani abbiano una saggezza che i più giovani non hanno? Credete che tutte le donne abbiano una bellezza diversa da quella del loro aspetto esteriore? Che ne dite sull’avere la forza e il coraggio di difendere voi stessi e i vostri cari? O anche avere la forza interiore per superare abitudini e dipendenze? Ho appena mostrato alcune delle caratteristiche e delle abilità soltanto di alcuni dei nostri Dèi. Questo potrebbe anche essere facilmente fatto con la potenza delle Rune. Una volta che qualcuno aprirà un po’ il cuore e la mente, vedrà gli Dèi all’opera intorno a sé. Da quel momento in poi verrà cambiato per sempre e si inoltrerà lungo la via del Nord. I nostri Dèi e Dèe camminano con noi, che li vediamo o meno. I nostri Dèi e Dèe sono parte di noi, che li sentiamo o meno. Fanno parte di noi e noi di loro, perché siamo discendenti da loro. Quindi abbiamo un legame genetico con loro, e non contrattuale come quelli che seguono una religione basata sulla fede. E questo cosa significa? Significa che gli Dèi vogliono vederci vivere la nostra vita, prosperare ed essere felici. Perché? Perché siamo i loro discendenti, i loro figli, e qualsiasi cosa facciamo, loro la fanno con noi.

LA RUOTA DEL SOLE

di Else Christensen

La Ruota Solare è un simbolo considerato sacro (che include anche il significato dell’integrità o del tutto, che porta fortuna e salute), usato in epoca precristiana dai nostri antenati. Le sue quattro braccia ad angolo retto, diritte o oblique, danno l’aspetto del movimento, come di una ruota modellata a forma di sole.

In Europa sono stati fatti ritrovamenti della Ruota Solare risalenti già all’inizio dell’Età della Pietra. Nelle patrie delle tribù germaniche, tra le quali era particolarmente popolare, può essere fatta risalire all’Età del Bronzo, e sembra essere stata associata al simbolo del fuoco; in quest’area, potrebbe essere stata in un primo momento una stilizzazione del martello che rappresentava il tuono ed era accompagnata dal fuoco dal cielo. Poiché Thor era il produttore di tuoni e fulmini e il dio che dava sia il sole che la pioggia agli uomini, la Ruota Solare e il martello erano collegati a lui. Dal I secolo a.C. fino all’imposizione del Cristianesimo nel Nord, la Ruota solare fu spesso usata come ornamento, sia per essere indossata che per decorare armi o vasi.

Mentre altri simboli sacri gradualmente svanivano nell’insignificanza, la Ruota Solare mantenne il significato e importanza avuti durente le età migratorie della preistoria. La prova dell’esistenza della Ruota Solare sanscrita in Asia risale al terzo millennio prima della nostra cronologia. La Ruota Solare è stata trovata in India, Indonesia, Polinesia e Nord America. Era tuttavia sconosciuta alle razze semitiche e agli Aborigeni australiani.

Il modo in cui questo simbolo si è fatto strada verso le varie terre in cui è stato trovato, è una questione tanto contesa quanto l’origine delle razze. Senza dubbio il suo significato variava in qualche modo da ovest a est. E questo, possiamo supporre, deve essere stato il corso del suo viaggio, se consideriamo il fatto che non c’è razza sulla terra che sia stata così pervasa dal desiderio di attraversare le terre e gli oceani o il globo come lo erano i Vichinghi e i loro antenati.

Per i nostri antenati, la Ruota Solare era un simbolo delle fasi mutevoli del sole sia di giorno che di notte, e nelle quattro stagioni delle terre settentrionali.

Il cerchio indica il movimento eterno della vita, e le quattro braccia all’interno di questo cerchio la ricorrenza continua delle stagioni nella vita della Natura come nella vita degli uomini. E poiché il cambiamento delle stagioni avveniva con l’apparire e lo scomparire della luce, così la Ruota Solare divenne anche il simbolo dell’eterna lotta tra Luce e Oscurità, di una religione di Luce, modellata dal genio dell’Uomo Occidentale, in conflitto con quella delle tenebre, che cerca di realizzare la fine eterna dell’umanità superiore.

Due dei manufatti più significativi a livello simbolico, lasciati dall’Età del Bronzo del Nord Europa, sono il carro a ruote o carro del sole, che viaggia attraverso il cielo, e la nave del sole, indicando la convinzione che ogni notte, quando il sole scompariva sotto il mare occidentale, viaggiasse di nuovo durante la notte per sorgere la mattina successiva, caldo e luminoso, a Oriente.

Da nessuna parte oltre che al Nord la Ruota Solare avrebbe assunto questo significato, perché lì il sole era la fonte stessa della vita. Quando il sole è distante, o ‘dis’, allora anche la Natura è morta; quando ritornava, ritornava anche la vita. I cuori e le anime degli uomini, essendo intimamente intrecciati al mutare delle stagioni, rispondevano al loro andare e venire con profondi sentimenti religiosi, incorporando tali sentimenti nelle loro mitologie e nelle feste annuali. Fino ad oggi nulla, né il Cristianesimo, né la nostra cosiddetta “civiltà” moderna, ha sradicato l’antico significato di queste feste dal nostro cuore e dalle nostre anime.

All’Equinozio di Primavera, per esempio, celebriamo la festa della Pasqua (in commemorazione della Dea Eostre), una festa di gioia, che celebra la vita rinata nei campi e nei prati; il coniglio e le uova significano la fertilità, auspicata con ansia dagli antichi in una vita che è stata una lotta incessante tra luce e buio, tra vita e morte. È quindi opportuno che il Movimento Odinista del presente e del futuro riprenda come simbolo la stessa Ruota Solare che ha ispirato gli Odinisti del passato nelle loro battaglie per la sopravvivenza del loro popolo, la loro religione e la loro libertà.

LO STRANO INCONTRO DI RE OLAF

di Will Vesper

UN GIORNO Re Olaf Tryggvasson e i suoi uomini navigavano a sud lungo la costa della Norvegia sulla nave Serpente Lungo. Quando arrivarono al fiordo di Nidaros, gli uomini dovettero prendere i remi, perché il vento era troppo debole per riempire le vele. Ma il re non aveva fretta. Era di buon umore e si diede a tutti i tipi di lazzi per i suoi uomini. Combatté un finto duello con il portabandiera, Ulf il Rosso. In un primo momento combatterono al solito modo, con la spada nella mano destra; poi con la spada nella mano sinistra; e infine con spade in entrambe le mani. Ogni volta, il re avanzava fino a babordo. Quelli erano giochi degni di nota. Dopo di che, Re Olaf salì sulla ringhiera della nave, camminando e al contempo giocando con tre pugnali sfoderati. Nessuno vide mai il re perdere o un pugnale cadere in mare. Gli uomini remavano con più entusiasmo e ridevano.

Re Olaf si sedette tra i suoi uomini sul ponte di poppa e parlò di questo e quello. Lì sedeva Kolbjorn il Maresciallo e Thorstein Piede di bue; An il Tiratore di Jàmtland e Bersi il Forte; Einar e Finn da Hardanger; Ketil l’Alto e i suoi fratelli; uomini provenienti da tutta la Norvegia; dall’Islanda e dalle isole a ovest; una squadra d’elite, bei compagni pieni di forza e audacia. Lo si poteva vedere. Nessuno aveva più di 60 anni, tranne il vescovo Sigurd, e nessuno aveva meno di 20 anni, tranne Einar Tambaskelfer, che aveva solo 18 anni ma era il miglior tiratore in tutto il paese.

“Ora tengo la Norvegia in mano”, disse il re, e arrivò con la mano destra verso il cielo, come se afferrasse qualcosa che gli altri non potevano vedere.

“Perché l’avete ricevuto dalla mano di Dio”, commentò solenne il vescovo Sigurd.

“Sì”, acconsentì il re, “dalla mano di Dio e non dalla tua, Vescovo. Costringo tutti a inchinarsi a Cristo, popoli di tutte le province: Stavanger e Hardanger, Vik e Sogne, More e Ramsdalen, le province sul mare e in montagna, e ora anche Halogaland e le Oppland. Quelli sono stati i più difficili da piegare”.

“Ma tu hai i denti più affilati per questo”, intervenne Hallfred lo Scaldo, l’Islandese. “In molti li hanno sentiti”.

“Può essere vero”, rispose Olaf, “ma ora la Norvegia è un Regno, e le campane della chiesa risuonano su tutto il nostro regno”.

“Lo ammetto”, concordò Hallfred. Egli rise leggermente e aggiunse: “Ma aggiungo che è difficile per me abituarmi a quelle campane. E molti altri si sentono allo stesso modo, anche se non lo dicono”.

“Hai orecchie sensibili, giacché sei uno scaldo”, rispose Re Olaf.

Ma Hallfred indicò il suo cuore e disse: “Qui, Re Olaf, siede uno che non vuole sentirlo. Cristo si è preso troppo tempo per venire da noi. Tutti noi abbiamo appreso in modo diverso dalle nostre madri”.

Re Olaf lo guardò a lungo. Poi disse: “Dove suonano le campane… là è il Regno e il dominio del Re”.

“Che hai ricevuto da Dio”, intervenne di nuovo il vescovo. “Solo Uno è padrone. Quello in cielo”.

“E uno è il re in Norvegia, Vescovo”, rispose Olaf.

“Uno deve essere padrone e uno deve essere re, a meno che la terra non diventi il bottino dei re stranieri. Ricordate sempre questo”.

“Ci dovrebbe essere solo un re in Norvegia e nelle isole”, disse Hallfred. “E solo uno dovrebbe essere padrone in cielo. Ma mi dispiace ancora per coloro che hanno dovuto lasciare tutto”, e lentamente fece un gesto con la mano verso le montagne, poi attraverso il cielo e infine verso il mare. Tutti sapevano cosa voleva dire.

Il vescovo Sigurd lo guardò con rabbia: “Quei denti devono ancora mordere spesso e mordere molti”, commentò, “prima che questi idoli e maghi siano costretti a lasciare tutta la Norvegia”.

Tutti guardarono verso Olaf per vedere la sua reazione alle audaci parole di Hallfred. Ma il suo cuore era leggero e bonario oggi, il tipo di umore che affascina tutti. Ridendo, mostrò i denti e gridò: “Norvegia, patria! Ave a Lui, che l’ha data a noi da governare. La teniamo stretta con i denti. Nessuno la strapperà via da noi per tutto il tempo che viviamo!”

“Ave Re Olaf!” E Hallfred iniziò una poesia su quell’ora:

“L’aria che profuma di battaglia,
verso sud viaggiava il re…”

La nave scivolò vicino alla costa nel fiordo e si imbatté in una scogliera rocciosa, che sporgeva lontano dall’acqua. Gli uccelli sulla riva presero il volo. Una nuvola d’argento di ali battenti si alzò come polvere nel cielo. Un migliaio di uccelli gridarono.

I pini, che si ergevano uno dopo l’altro lungo sul fianco della montagna, riflettevano la luce del sole mentre ondeggiavano. La luce rimbalzava su tutti i rami. Si udivano le insenature balbettare rumorosamente lungo le gole, e il respiro leggero del mare.

Improvvisamente, tutti sentirono il grido di una voce chiara e acuta. Un uomo era in piedi sulla sporgenza rocciosa vicino alla nave. Gli uomini alzarono i remi e li diressero verso terra. Ma prima che la nave fosse arrivata in fondo, videro lo straniero in piedi a prua, vicino alla testa del drago d’oro. Lui annuì verso il re, che sedeva in alto sul ponte di poppa. Sembrava che stesse solo ondeggiando un po’ per il suo salto, e stava ancora cercando di riprendere equilibrio. Poi si avvicinò tra gli uomini della parte anteriore: sembrava un contadino della zona, che probabilmente voleva solo viaggiare con loro per un po’, fino a quando avrebbero tollerato la sua compagnia sulla nave. Non era un mercante come avevano pensato prima.

Era un uomo molto robusto, vestito all’antica, con panno di lana verde grossolana. Probabilmente un uomo dalle profondità delle montagne. Intorno all’anca aveva un’ampia cintura di pelle con una bella fibbia di rame. In uno degli anelli della cintura indossava un martello a due lati, la vecchia arma contadina: un pezzo di utensileria ben fatto. Ma la cosa più evidente dell’uomo era la sua barba rossa, che era così spessa e lunga che la divideva in due e la infilava nella cintura, a sinistra e a destra.

Si sedette su una bobina di corda e guardò gli uomini che erano seduti o in piedi intorno a lui, uno dopo l’altro, senza alcuna timidezza. Ognuno di loro era un po’ innervosito dal fuoco blu del suo sguardo. Era come se li stesse guardando – e avesse trovato qualche piccolo difetto in ciascuno.

“Non è stato un salto da poco, quello che hai fatto sulla nave”, riconosceva Vakr Ramnisson di Gàtàlf.

“Non è stato più lungo”, rispose lo straniero, “di quello che hai fatto tu, Vakr, nel trasformare un amico di Thor in un cristiano. Tutti voi siete buoni saltatori in questo senso”.

Quello che l’uomo aveva detto non era confortante.

“Non sai con chi stai viaggiando, contadino? Stai attento! E dove abbiamo fatto conoscenza, visto che pensi di sapere qualcosa su di noi?”

“Un vecchio amico mi ha riferito”, rispose, “dai tempi dei tuoi padri. Ma non ci pensare. Ora vorrei viaggiare con voi per un tratto”.

“Dove vuoi andare?”

“All’estero”, rispose tristemente l’uomo.

“Sembri capace di una spedizione militare.”

“Ho molti di loro dietro di me, ma ora voglio riposare.”

“Non sembra così”, osservò Bersi il Forte. Secondo la sua consuetudine – come se non valesse la pena parlare con un uomo prima di aver provato la sua forza – raggiunse la mano dello straniero e cercò di strapparlo dal suo posto. Fu una lotta breve e fugace, ma infine Bersi era sdraiato a terra. Era perfettamente chiaro chi fosse più forte. Bersi non lo aveva sperimentato sin dalla sua giovinezza. Ciò aveva colpito tutti come il fuoco e l’ubriachezza: ognuno volle testare lo straniero in una gara. Ma nessuno poteva eguagliarlo. L’intera nave fissava il diabolico compagno di viaggio. Anche le sue parole volarono, taglienti e impavide, e andarono a segno fulgide come i suoi movimenti. Ognuno ebbe il suo! Infine, camminava lungo la ringhiera sopra i remi, che non smise mai di remare, e si destreggiava non solo con tre pugnali (come aveva fatto Re Olaf), ma quattro, con due in aria e uno per mano in ogni momento. Era  un gioco veloce, con i pugnali che danzavano sopra la sua testa come fiamme. L’equipaggio fissò questo contadino, che giocava così. Certamente sapeva il fatto suo in molte altre cose che semplici buoi.

Infine Re Olaf lo chiamò, e salì sul ponte della nave, si tolse il berretto e si fermò di fronte al re. Si notò che anche i capelli sulla sua testa erano rossi, e gli fluttuavano in testa come fiamme.

“Se uno sconosciuto e contadino come te viene davanti al re norvegese, si inchina”, disse Thorgrim Thorsteinsson ad alta voce.

Il contadino si rivolse a lui e disse: “Anche tu discendi da uomini, Thorgrim, che non erano abituati a piegare la schiena davanti ad altri uomini – a parte forse dinanzi a colui dal quale – come te – traevano il nome”.

“Sei un uomo che parla bene e talentuoso”, disse Re Olaf mentre fece un gesto agli altri di tacere. “Sei di questa zona?”

Il Barba Rossa guardò Re Olaf per molto tempo. Rideva leggermente, come uno che ha preoccupazione nel suo cuore. “Sì”, rispose, “si potrebbe dire che sono della zona”.

“Da quale provincia?” chiese il re.

Poi fece lo stesso gesto che aveva fatto Hallfred lo Scaldo, quando parlò dei vecchi dèi. Indicò con la mano verso la montagna, poi attraverso il cielo e infine verso il mare. In un istante, tutti seppero chi era. Un vento cominciò a scendere dalla montagna e attraverso il sole come un velo, e l’acqua cominciò a salire. Ma nessuno era in grado di pensare alla nave, che improvvisamente cominciò a ballare vicino alle scogliere rocciose. Tutti fissarono il Barba Rossa, che ora si trovava davanti al loro re grande e potente, e videro il martello sacro in mano. Un rombo sordo di tuono venne dal cielo, e tutti stavano come ombre sull’orlo della luce. E poi udirono la voce pesante dell’uomo.

“Sì, Re Olaf”, parlò, “io sono di questa provincia, da Halogaland e da Trondheim, da Havanger e Stavanger, da tutta la Norvegia e dalle isole, dalle montagne e dalle valli, dalle nuvole e dal mare. Ed è opera mia se c’è una terra che ti dà gioia e di cui puoi essere re. Quando sono venuto qui per la prima volta, era una terra di ghiaccio sotto i piedi dei giganti. Ma ho sconfitto i giganti, che sedevano sulle montagne. Gli alberi crescevano e le insenature scorrevano lì. Ho strangolato i troll, che sono nemici sia degli dèi che degli uomini. Fiori sono cresciuti nei prati e capre scalavano i sentieri di montagna. E la gente veniva e costruiva capanne e arava i campi. Ho benedetto i loro raccolti. Avevano il pane. Ho benedetto il mare per loro. Avevano pesce. Ho benedetto il loro tavolo. I loro figli sono cresciuti. Io e la mia specie, Re Olaf, abbiamo reso questa terra abitabile per i figli degli uomini. Ecco perché hanno onorato me, uomini e donne. E questa è stata la mia gente, per molto tempo”.

Allora il vescovo Sigurd si prese d’animo e mostrò coraggio. Alzò la croce dal petto e la tenne verso Barba Rossa. “Cedi il passo, idolo!”, chiese.

L’uomo rise, piano e amaramente. Era come un pianto nel vento.

“Sì”, disse, “e ora ne arriva un altro. La mia ora è passata, secondo la volontà di Colui che Governa Tutti. È difficile per coloro che mi sono amici. E tu, Olaf, li persegui e li uccidi, e compi il destino. Alla fine accade a tutti noi. Ma mi aspettavo che fosse diverso: il Lupo che ci divora, il Serpente che ci strangola. Invece arriva il Gentile e supera il Potente. Ma nessuno sfugge al destino, e nessuno lo conosce in anticipo. Verrà l’ora anche per l’uomo sulla croce”.

“Cedi il passo, idolo!” comandava di nuovo il vescovo mentre teneva la sua croce vicino agli occhi del Barba Rossa.

Poi alzò il martello, e un fulmine colpì lungo l’albero come un serpente d’oro. Ma fu come se lo avesse afferrato con la mano prima che potesse fare del male. Per la terza volta, si udirono le amare risate. Non lo dimenticarono mai fino alla morte.

E videro come l’uomo si gettò in mare con un possente salto e, tenendo il martello sopra la testa, affondò in mare e scomparve.

In quel momento tutto cambiò. Un vento leggero soffiò da sud, riempì le vele e spinse la nave sotto il sole lungo le onde che spingevano dolcemente più in profondità nella baia. Sembrava che si fossero svegliati da un sogno o da un torpore. Re Olaf si strofinò entrambe le mani sul viso. Mentre il vescovo Sigurd si schiariva la gola come per parlare, il re fece cenno al suo silenzio.

Di fronte a loro si vedevano le case di Nidaros, le navi a riva, il possente tetto della casa del re e la nuova cattedrale con la sua sommità appuntita e la sua ampia torre. La sera era arrivata. Il sole affondò in mare. Le campane risuonavano dolcemente attraverso l’acqua. Tutti stavano come il re e si grattavano le teste.

“Preghiamo per tutti coloro che sanno morire come uomini”, disse il re.

WYRD E CAUSALITÀ CONTRO PROVVIDENZA

di Roger Pearson

L’arrivo del monoteismo mediorientale in Europa sostituì una precedente credenza proto-scientifica nella causalità con il concetto teleologico della Divina Provvidenza, o Volontà di Dio. L’antica filosofia greca fu soppiantata dalla richiesta che gli uomini smettessero di cercare di comprendere la natura delle forze causali all’opera intorno a loro, e accettassero questa semplicemente come l’opera di un dio monoteistico onnipotente. Una nuova classe sacerdotale organizzata chiedeva che gli uomini accettassero senza dubbio la parola “rivelata” del loro dio. L’accademia fondata da Platone fu ordinata chiusa e, come Bertha Phillpotts ci mostrò per la prima volta, anche tra le nazioni germaniche il concetto di Wyrd, che postulava una forza causale onnipervasiva, fu sostituito dal concetto di intervento divino o Provvidenza. L’Europa entrò nel Medioevo, e vi rimase fino a quando la riscoperta degli scritti degli studiosi pagani classici rese possibile il Rinascimento e l’ascesa della scienza moderna.

Michael Horowitz, il monoteismo orientale e i sacerdoti organizzati

Michael Horowitz[1] ha posto in contrasto il successo dei Greci nel gettare le basi di una comprensione scientifica del mondo con il fallimento dei Mesopotamici, che avevano effettivamente creato una civiltà avanzata ma non avevano mai sviluppato una scienza oggettiva. Egli attribuì questo alla loro fede nella forza dominante dei loro dèi e dei sacerdoti che servivano questi dèi. Horowitz sosteneva che le prime culture mesopotamiche e successive semitiche tendevano a credere che l’umanità fosse stata creata per “alleviare agli dèi la fatica” e che le persone rette dovevano servirli e obbedire a loro. Questa credenza era rigidamente sostenuta da una grande e ben organizzata classe sacerdotale che esercitava il potere supremo sul popolo, ma anche questi sacerdoti erano troppo timorosi dei loro dèi per osare mettere in discussione il funzionamento del mondo, che attribuivano del tutto alla volontà degli esseri divini: un inno al dio della tempesta Enlil annichilisce davanti agli “occhi selvaggi e abbaglianti” della divinità. “Che cosa ha pianificato? Che cosa è nella mente santa di Enlil?” “Che cosa ha pianificato contro di me nella sua mente santa?” Apparentemente, Enlil può colpire senza motivo –  semplicemente essere umano è una provocazione sufficiente (Jacobsen 1976).

La natura era considerata sacra e potenzialmente ostile. I Sumeri avevano avvertito che le leggi della natura sono come le “leggi dell’abisso – nessuno può guardarle” (Kramer 1981). Dal secondo millennio a.C., gli scribi babilonesi sono sicuramente più avventurosi. Ma anche loro credono che lo studio della natura sia un’impresa sacra, e che la verità non deve essere strappata agli dèi: i fatti sarebbero gradualmente “rivelati” secondo il piacere divino (Contenau 1966). Tentando di razionalizzare l’universo, [un uomo] starebbe corteggiando l’eresia; avrebbe quindi minacciato il dominio delle divinità. Questa trasgressione sarebbe stata quasi certamente rimproverata dai superiori sacerdotali.

Horowitz vedeva la società greca, al contrario, come illuminata da un’aristocrazia che era essenzialmente libera dal dominio dei sacerdoti. Infatti, i sacerdoti greci servivano solo dèi individuali, i cui poteri soprannaturali erano limitati a funzioni specifiche e non erano considerati esseri onnipotenti. Di conseguenza, l’apprendimento non era limitato al sacerdozio, che non era organizzato in nessuna gerarchia dominante. Di conseguenza, gli aristocratici greci sono stati in grado di consentire alla loro curiosità di indagare sui segreti del mondo che li circondava. Horowitz scrive: “Un’aristocrazia energica e creativa ha fornito un talento diffuso e la ricchezza e il tempo libero per dispiegarlo. Una teologia anarchica ha liberato l’immaginazione teorica greca sul mondo naturale.”

Infatti, anche se Horowitz non ne parla, il capo di ogni unità di parentela greca conduceva i rituali socio-religiosi del gruppo affine. Tutti gli importanti compiti rituali e sacerdotali relativi all’organizzazione della società erano condotti dai capifamiglia e dai fratries, e da re che generalmente derivavano la loro autorità in virtù della loro discendenza, reale o immaginaria, dal fondatore della nazione. Liberi dalla subordinazione a uno o più dèi onnipotenti, e superiori ai sacerdoti che servivano i singoli dèi della natura, gli aristocratici della società greca erano liberi di speculare sulla natura dell’universo e cercare spiegazioni di ciò che accade in essa. Come dice Horowitz:

La cultura greca offre ai suoi filosofi pionieri un ambiente sociale, politico, teologico e linguistico incoraggiante per lo sviluppo della dialettica scientifica. Socialmente: vanta una classe attiva, sicura di sé ed egemonica di aristocratici, con una tradizione di pensiero unica e un comportamento individuale. Questa aristocrazia non era mai stata intimidita nella sua memoria culturale dal dogma religioso. Infatti, è da questa classe di aristocratici che scaturiscono i primi filosofi della Grecia.

Fustel de Coulanges, Paganesimo Europeo, e Causalità

In assenza della tendenza orientale a ritrarre gli Esseri Divini come tutti i potenti despoti, gli Europei pagani in generale sembrano presto aver concluso che l’universo era governato da una rete di causalità. Essi riconobbero gli dèi che erano dotati di poteri soprannaturali, e avevano sacerdoti che servivano questi dèi – ma questi dèi non crearono l’universo, e non ne erano che una parte essi stessi. Lo studioso francese del XIX secolo Numa Denis Fustel de Coulanges ha dimostrato presto che la vera religiosità dell’antica Grecia, Roma e delle nazioni celtiche e germaniche era incentrata sulla religione della famiglia, del clan, dei phratri, della gens e della tribù[2]. I legami morali e i rituali che legavano veramente insieme le comunità europee pre-cristiane erano basati sulla parentela. Un uomo deteneva il suo dovere principale nei confronti della sua gente affine, e non solo ai suoi parenti viventi, ma anche a coloro che lo avevano preceduto e avevano dato vita a lui e ai suoi discendenti che sarebbero venuti dopo di lui. Gli uomini erano impotenti davanti alle forze causali che determinavano gli eventi che si svolgevano intorno a loro e quindi plasmavano il loro destino, ma un uomo orgoglioso e coraggioso avrebbe potuto guadagnare fama per se stesso e onorare i suoi discendenti sforzandosi coraggiosamente contro le stringhe e le frecce della sfortuna. Un uomo non poteva evitare il suo destino, perché era intrappolato nel vasto nesso di causalità che permeava l’Universo, una forza che si muoveva irresistibilmente dal passato, attraverso il presente e in avanti nel futuro.

Causalità sotto forma dei Tre Destini

Il concetto fondamentale di causalità, come forza onnipotente che modella il funzionamento dell’Universo, era profondamente radicato nella cultura dell’antica Grecia e di Roma. Si credeva che fossero i tre Destini o Moirae dei Greci a tessere la rete di causalità: Clotho, con il fuso, filava dei fili causali che davano vitalità al mondo e tutto ciò che era in esso: Lachesi, che puntava con il suo bastone verso un globo; e Atropos, con la sua meridiana, e le forbici, pronta a tagliare il filo causale della vita di ogni uomo. I Romani conoscevano questi stessi destini nelle Parcae. E allo stesso modo, il popolo germanico riconobbe queste tre sorelle che controllavano la causalità come le Norne, chiamandole Urthr, Verdandi e Skuld, che tra di loro erano responsabili di ciò che era, cosa è e cosa sarà.

Fino ai tempi di Shakespeare, gli Inglesi ricordavano ancora tre strane sorelle, anche se in una foschia un po’ cristiana, come anziane streghe immortali, che conoscevano i segreti del destino e potevano predire il futuro.

In breve, il paganesimo europeo in una misura maggiore o minore intuì la causalità come forza motrice dietro tutti i fenomeni naturali. I loro dèi erano immortali e possedevano poteri sovrumani, ma non crearono l’Universo e ne rappresentavano solo un aspetto. Al di là dei legami che univano la società vi era un aspetto metafisico alla religiosità dell’Europa pre-cristiana che rifletteva un apprezzamento della Natura e del ritmo dell’Universo, senza paura di un dio monoteistico onnipotente. I meno sofisticati hanno fatto tentativi prescientifici di manipolare la causalità con i mezzi pre-scientifici che chiamiamo magia, ma i più sofisticati applicarono la logica aristotelica al compito di scoprire le forze causali che animavano la natura, e così facendo hanno gettato le basi per la scienza moderna. Mentre il sacerdozio babilonese, assiro ed egizio serviva pedissequamente i loro dèi, temendo di mettere in discussione le loro motivazioni e desiderando solo placare la loro rabbia e realizzare i loro desideri, i miti dell’antico paganesimo europeo raccontano di eroi che sfidano gli dèi a rivelare qualsiasi informazione avessero sui segreti dell’universo, di cercare la mela d’oro della saggezza, e anche i più primitivi miti germanici raccontano di Odin che diede un occhio nella sua ricerca della conoscenza.

Martha Phillpotts e il Wyrd

Una lettura delle opere di Dame Martha Phillpotts, un’autorità pioniera sulla cultura anglosassone e antica germanica, fornisce una visione del concetto pagano europeo di causalità impersonale, e sostiene la spiegazione di Horowitz del perché la vera scienza è emersa in Europa piuttosto che nelle precedenti civiltà del Medio Oriente. Anche i popoli di lingua germanica che popolavano fino al picco del Nord Europa, al pari dei Greci e dei Romani, vivevano liberi da ogni paura di un singolo dio onnipotente, e Phillpotts ci mostra come i popoli germanici condividessero intuitivamente lo stesso apprezzamento protoscientifico della causalità che troviamo in forma più sviluppata tra l’intellighenzia greca e romana. Nell’Europa settentrionale questa forza causale è stata identificata come Wyrd, e come tale ha svolto un ruolo importante nella cultura germanica. Wyrd come parola è la forma astratta del verbo germanico weorthan, “per arrivare ad essere” quindi significa “ciò che accade”.[3]

Nel dichiarare che nel paganesimo anglosassone c’è[4] più che il culto di Woden e Thunor, e i giuramenti di lealtà a un capo: il riconoscimento del Wyrd come una forza impersonale e inavvicinabile… se riusciamo a descrivere il profilo oscuro di questa filosofia precedente, non formulata, deve essere attraverso il mezzo delle storie e dei ricordi dell’Età Eroica. Gli Anglosassoni avevano parte in quel periodo epico liberamente come qualsiasi altro popolo nordico, e sembra sicuro supporre che le idee che si celano dietro di esso fossero anche proprietà comuni.

Il Trionfo del Monoteismo Cristiano

Phillpotts conferma anche la teoria di Horrowitz su come i sacerdoti orientali attribuissero gli eventi alla volontà di una o più potenti divinità notando come il Cristianesimo, radicato nel monoteismo orientale, sopprimesse le radici del pensiero scientifico in Europa attribuendo gli eventi alla “volontà di Dio” piuttosto che al più logico concetto pagano europeo di causalità impersonale.

La credenza orientale che tutti gli eventi potessero essere spiegati come la volontà di una o più divinità doveva alla fine evolversi nelle dottrine monoteistiche dell’Ebraismo, del Cristianesimo e dell’Islam. Queste tre religioni non accettarono nessun’altra spiegazione per gli eventi naturali oltre la volontà di un Creatore divino – tranne che in occasioni in cui ritrovarono conveniente ipoteticare un anti-Dio o un Diavolo per spiegare eventi spiacevoli che i sacerdoti scelsero di non attribuire al loro dio.

Come religione missionaria che cercava di convertire tutti i popoli a riconoscere l’unico vero Dio, il Cristianesimo sviluppò tecniche subdole per promuovere la conversione, e i concetti cristiani, generalmente antitetici al paganesimo europeo, alla fine sostituirono anche i concetti pagani più profondamente radicati. Le chiese cristiane erano comunemente erette sul sito di luoghi sacri dal mito e dalla tradizione pagani. Il matrimonio, che nell’Europa pagana era una funzione della parentela, agli occhi del Cristianesimo non era solo un patto tra due persone e i loro parenti, ma coinvolgeva un terzo, il Dio cristiano, permettendo così al Cristianesimo di sfondare le mura dei parenti, che si trovavano al centro del paganesimo. I convertiti cristiani non dovevano mettere in discussione la parola di Dio rivelata dai Suoi profeti, perché cercare qualsiasi spiegazione del funzionamento dell’universo diverso da quello contenuto nella Sua Parola rivelata voleva dire fare l’opera del diavolo. Il Dio cristiano era un Dio geloso, le cui vie erano a volte inspiegabili e “meravigliose”. Il Cristianesimo non aveva spazio per coloro che facevano domande quando gli eventi naturali li disorientavano, poiché Dio era onnipotente, che poteva tutto e tutto ciò che avveniva era per Divina Provvidenza.

Il Cristianesimo, alcune delle cui radici attraverso Giovanni Battista forse affioravano nel comunismo egualitario degli Esseni, sorse come un’eresia tra gli Ebrei in un momento in cui vivevano sotto il dominio di Roma, le cui legioni avevano preso d’assalto Masada e distrutto il Tempio di Gerusalemme. Offriva conforto a coloro che soffrivano sostenendo che la loro sofferenza e l’umiltà forzata avrebbero portato loro benefici nell’aldilà, mentre l’orgoglio dei clan dirigenti romani conosciuti come gens (da cui deriva il termine “Gentili”) avrebbe portato con sé solo dolore dopo la morte.

La Provvidenza Sostituisce il Wyrd

Il Cristianesimo, con la sua enfasi sulla fede e l’accettazione incondizionata dei miracoli come atti di Dio, alla fine soppresse lo spirito proto-scientifico dell’indagine tra i filosofi greci pagani e ha gravemente arretrato l’ascesa della scienza fino all’avvento del Rinascimento. Così ha anche soppresso ogni ulteriore apprezzamento proto-scientifico della causalità tra i popoli germanici che alla fine sarebbero emersi come i primi pionieri della scienza moderna.

Come gli Stoici pagani romani, i pagani germanici cercarono di affrontare la sfortuna con coraggio, sapendo che le forze causali che determinavano il loro destino si muovevano con grandezza irresistibile. Il Cristianesimo, al contrario, rappresentava il destino non come causalità meccanica, ma come Provvidenza, come volontà di un Dio Creatore monoteista. Il Cristianesimo non aveva spazio per il Wyrd, poiché Dio preferiva fare miracoli, ma il Wyrd mantenne tale potere nella mente germanica per generazioni dopo l’avvento del Cristianesimo, che i sacerdoti e i monaci cristiani inizialmente cercarono di equiparare il Wyrd al concetto cristiano di Divina Volontà o Provvidenza. Alla fine si assicurarono che si tramutasse in “strano” (Inlg. weird ndt), con tutte le connotazioni paurose ed empie che sono associate a “strano” ancora oggi.

Per rendersi conto al meglio, mentre alcuni pagani europei avevano visto la morte come la fine della vita, rappresentando Hel, il regno dei morti, come un vuoto nulla, il Cristianesimo offriva la Giustizia di Dio. Il Paradiso era la ricompensa di coloro che si sottomettevano ai desideri della Chiesa, ma per coloro che rifiutavano il governo della Chiesa era ordinato un destino alternativo, l’ammissione a un Hel[l] (inferno ndt). Questo era ora descritto come un luogo di tormento eterno.

Poiché le ricompense e le punizioni dovevano essere realizzate solo dopo la morte, nessuno poteva scoprire fino a dopo la morte se le ricompense e le punizioni promesse fossero reali, e un uomo sul suo letto di morte era facilmente tentato di offrire parte o tutta la sua ricchezza, (che altrimenti sarebbe andata ai suoi discendenti) al clero cristiano come incentivo per loro di pregare che egli andasse in paradiso piuttosto che torturato eternamente nella versione cristiana di Hel[l].

Scrive Phillpotts:

Queste idee del Paradiso, dell’Inferno e della giustizia di Dio, sono le tre idee connesse alla nuova fede che troviamo chiaramente indicate nel Beowulf, ed erano senza dubbio particolarmente caratteristiche delle prime generazioni dopo la conversione. Chiaramente la semplice disgrazia, la semplice sconfitta, era più facile da sopportare alla luce della nuova conoscenza. La vittima avrebbe potuto essere risarcita nella prossima vita per le sue sofferenze in questa, anche se quella resistenza oltre i limiti, quella sfida del destino, tanto ammirata ai tempi pagani, era ormai molto suscettibile di diventare semplice empietà.

Il Cristianesimo ha fatto arretrare la scienza in Europa sopprimendo la nozione iniziale di causalità impersonale e sopprimendo la libertà degli uomini di speculare sulla natura dell’Universo. Esso distolse l’attenzione da qualsiasi idea di indagine scientifica sostituendo il concetto di Wyrd come forza causale meccanica con le idee del Destino come Divina Provvidenza – come l’inspiegabile Volontà di Dio, che non dovrebbe mai essere messa in discussione, ma solo umilmente accettata con piena fede nella Sua bontà.

L’accademia di Platone, che era sopravvissuta per secoli dopo la sua morte, fu infine chiusa per ordine dell’imperatore cristiano di Bisanzio perché nel tentativo di comprendere gli eventi causali sfidava la dottrina della divina Provvidenza. Allo stesso modo, nel mondo germanico, il Wyrd venne ritratto come “strano”, e coloro che cercavano di esplorare i segreti della causalità furono ritratti come allineati con le forze del male.

Si può quindi sostenere che non sia stato il paganesimo europeo a portare il vero Medioevo in Europa: fu il Cristianesimo, con la sua origine nel monoteismo orientale, a sopprimere le radici del pensiero scientifico in tutta Europa; al contrario, fu il Cristianesimo, con le sue radici nel monoteismo orientale, a sopprimere l’evoluzione della scienza moderna dalla precedente credenza europea pagana protoscientifica in una sorta di forze causali inanimate. Questa fede nelle forze naturali, anche se inizialmente solo mal percepita, fu il terreno da cui l’indagine scientifica sui misteri della Vita e dell’Universo alla fine si evolse, non la Provvidenza e la “Parola rivelata di Dio”.

Appendice: Wyrd, il Destino e il Valore della Fama

Quella che conosciamo come l’Età Eroica nell’antica cultura greca, germanica, celtica, slava e persino iraniana e indo-ariana era un’espressione della dignità degli uomini che incontravano il loro destino – come determinato dal Wyrd, le irresistibili forze causali che plasmavano tutti gli eventi – coraggiosamente e senza esitazione. Essi percepivano di non poter resistere alle forze causali che determinavano tutti i movimenti nell’universo, ma si resero anche intuitivamente conto che il prestigio e lo status sociale dei loro parenti e discendenti sarebbero stati rafforzati dalla fama che avrebbero guadagnato con la loro condotta. Come Bertha Phillpotts esprime:

A proposito dei riferimenti alla Fama nella poesia anglosassone e scandinava c’è un calore e una passione che dovrebbe metterci in guardia rispetto al considerarla come il compenso della semplice abilità fisica. È un’affermazione che c’è qualcosa di più grande del destino: la forza di volontà e il coraggio degli esseri umani, la memoria che potrebbe preservare le loro azioni. Fama e carattere umano: queste erano le due cose contro le quali il destino non poteva prevalere. “La ricchezza perisce, i parenti periscono, loro stessi periscano”, dice l’Havamal dal Nord, “ma la fama non muore mai per colui che la ottiene degnamente”.

Solo i discendenti dell’eroe germanico beneficiano del coraggio con cui incontra la sua fatidica fine. Come Byrthwold dichiara nella battaglia di Maldon:

L’Anima sarà più coraggiosa, più alto il cuore, più grande il coraggio, quanto più la nostra potenza diminuisce.

Nessun pensiero di ritirata o vergognosa fuga qui, solo l’orgoglio, la dignità e il coraggio con cui gli uomini di ferro vanno alla loro morte, e quindi aumentano il prestigio dei loro discendenti e dei loro simili. Mentre la fede cristiana nella Provvidenza, nella Volontà di Dio, incoraggiava l’umiltà, la passività e la sottomissione, il pagano doveva affrontare il Wyrd con una dignità inflessibile.

Per l’europeo pagano, la vita era breve. Bertha Phillpotts indica la leggendaria similitudine del passero, per cui la vita dell’uomo è paragonata a quella di un uccello che vola nella sala del sire dove gli uomini stanno banchettando, ma rapidamente vola di nuovo fuori attraverso un’altra apertura nel tetto. In contrasto con la filosofia pagana che vedeva la vita dell’uomo come breve e volatile, il Cristianesimo prometteva qualcosa di molto innaturale: niente di più né meno di quella che in gergo popolare è stata chiamato “la torta nel cielo”, una vita eterna dopo l’altra in un cielo perfetto. È vero che, nella tradizione odinica, ai guerrieri germanici è stata offerta anche una forma più militante di “torta nel cielo” – combattimento eterno e festa come membri degli Einherjar di Odino o della banda da guerra in Valhalla – ma questo era aperto solo alla classe guerriera, e non è tipico. Ancora una volta, Bertha Phillpotts scrive:

Per i popoli del Nord non c’era ricompensa in una vita futura, poiché la dottrina del Valhalla non sembra mai aver fatto molti progressi contro le credenze molto più antiche secondo cui l’uomo morto viveva nel suo tumulo o conduceva un’esistenza oscura all’inferno. Così, come dice il versetto gnomico anglosassone: Dom bio selast “La fama è la cosa migliore”. Questo atteggiamento verso la vita merita, credo, il nome di una filosofia ed è una filosofia coerente anche se non formulata. Dipende ugualmente dalla concezione del destino e dalla concezione della fama. Nessuna delle due può essere portata via senza distruggere la rete di pensiero. Per il pagano nordico, la Fama, ottenuta affrontando il Destino con orgoglio e coraggio, aveva valore in quanto arricchiva lo status dei suoi discendenti; ma il Cristianesimo non amava l’orgoglio e indirettamente anche la fama, vedendovi qualità che sminuivano l’umiltà che gli uomini dovevano mostrare verso il loro “amorevole”, ma anche “geloso”, Dio, e forse non meno alla Sua chiesa.


[1] Questo saggio è stato in gran parte ispirato da riflessioni su uno studio di Michael Horowitz (vedi nota 2) e la ricerca più ampia della compianta Bertha Phillpotts (vedi nota a piè di pagina 4). Tuttavia, nessuno dei due ha integrato le due nozioni, che è quello che ho fatto qui. Non sono pertanto responsabili di eventuali difetti che possono essersi insinuati in questo documento.

[2] Vedasi Numa Denis Fustel de Coulanges e J. Jamieson, Famiglia, Gens e Città-Stato, Scott-Townsend Publishers, Washington D.C. per una piena esposizione della natura familiare della religione greca e romana, che era incentrata sul concetto di parentela, con gli dèi quasi incidentali al legame religioso che teneva insieme la famiglia, la tribù e lo Stato.

[3] Si può anche poter suggerire che nel mito germanico anche gli dèi fossero soggetti alla forza opprimente del Wyrd.

[4] Questo e le successive citazioni di Bertha Phillpotts sono prese dal suo saggio “Wyrd and Providence in Anglo-Saxon Thought,” in Essays and Studies by Members of the English Association, XII, (1928 per il 1927).

LA RUOTA RUNICA DEGLI DEI GERMANICI

Nel Nord, il quadrante è governato da Odino e le Norne; l’Oriente è governato da Frigga e Tyr; il Sud da Thor e Iduna e l’Occidente da Freyja e Njord. C’è un legame mistico diretto tra gli attributi, la ruota delle rune e i corrispondenti tempi del giorno e dell’anno.

di Wyatt Kaldenberg

L’inizio del ciclo temporale runico è il seguente:

RunaGiornoOraRunaGiornoOra  
Feu29 Giugno03:00Eiwaz28 Dicembre19:00
Uruz14 Luglio08:00Pertho13 Gennaio01.00
Thurisaz29 Luglio14:00Elhaz28 Gennaio05:00
Ansuz13 Agosto19:00Sowilo12 Febbraio10:00
Raido29 Agosto00:00Tiwaz27 Febbraio16:00
Kenaz13 Settembre06:00Berkano14 Marzo21:00
Gebo28 Settembre11:00Ehwaz30 Marzo02:00
Wunio13 Ottobre16:00Mannaz14 Aprile07.00
Hagalaz28 Ottobre22:00Ingwaz29 Aprile12:00
Nautiz13 Novembre03:00Laguz14 Maggio18:00
Isa28 Novembre08:00Odala29 Maggio23:00
Jera13 Dicembre14:00Dagaz14 Giugno04:00

I mesi runici possono essere utilizzati nei rituali e nella magia. I mesi runici iniziano nel tempo reale; non nel tempo fatto dall’uomo. L’ora legale può far saltare gli schemi di un’ora, e il sole, che determina il tempo reale, non è a conoscenza dei fusi orari creati dall’uomo. Il sole viene da est e si muove verso ovest (in realtà il sole non si muove, è la terra che ruota, ma è più facile parlare del sole che si muove attraverso il cielo), quindi alba – mezzogiorno – tramonto, tempo reale 8:00, tempo reale 2:00, ecc. accadono prima nel lato orientale di un fuso orario e in ultimo nel lato ovest dei fusi orari fatti dall’uomo. Il modo migliore per determinare il tempo reale è quello di utilizzare un quadrante solare che segni l’ora e i minuti. Le 12:00 è sempre l’ora esatta in cui il sole è direttamente sopra la testa. L’ora di inizio dei mezzi mesi runici è in tempo militare. La runa Odala, per esempio, inizia alle 23:00 del 29 maggio e termina alle 4 del mattino (04:00) il 14 giugno. Ricordate le 12 di mezzanotte è sia 00:00 che 24:00. Tuttavia, le 12:10 sono le 00:10, non le 24:10.

TEMPI DEL GIORNO RUNICO

Si noti il parallelo tra la ruota runica del giorno e il grafico annuale. La mezzanotte-mezzo inverno sono governati da Jera. Mezza Estate-mezzogiorno dalla runa Dagaz. Primavera-Alba da Berkano. Autunno-crepuscolo dalla runa Kenaz. L’inverno e la notte nel suo complesso sono governati da Isa. Giorno-Estate da Kenaz.
La ruota del ciclo lunare e le sue fasi corrispondono alle rune del Futhark anglosassone. Si noti la connessione alle Dee. La luna piena è governata da Pertho, la runa della ‘Dea del Cielo’ Frigga e delle sue tre figlie le Norne o Moire, mentre la luna nuova è governata da Eor (terra-tomba) la runa di Hel, Dea della malattia e della morte, e sovrana del mondo infero.

PREGARE COME UN INDOEUROPEO

odinism

di Tom Rowsell

DOVE svolgere preghiere e rituali? Che cosa si può sacrificare in un blót e quali libagioni possono essere versate? Che cosa dire in una preghiera e quale Dio invocare?

Rispondo a queste domande e spiego il formato tripartito della preghiera indoeuropea con riferimento al Sigrdrífumál e al ciclo della donazione reciproca. Mostrerò anche che aspetto hanno il mio santuario e gli idoli e come porgo loro un’offerta.

Appendice

La religione è definita come “un insieme di credenze… di solito implicanti devozione e osservanze rituali…” (Random House Dictionary). I rituali delle religioni indoeuropee sono spesso trascurati, ma sono molto ampiamente descritti in molti contesti nelle singole lingue. Circa un miliardo di indù mantengono anche i loro antichi rituali quotidiani: ricordano ancora. Lo studio della linguistica indoeuropea (IE) consente una ricostruzione teorica di alcuni dei rituali proto-indoeuropei originali mostrando i significati religiosi comuni di alcune parole proto-indoeuropee (PIE). In alcuni casi si ritiene possibile ricostruire l’attuale formulazione di antichi testi rituali, o almeno quelli più formali a causa delle qualità mnemoniche del versetto. Questo approccio più tecnico è il metodo più prezioso per ricostruire la religione proto-indoeuropea.

In passato, molti rituali indoeuropei sono stati ricostruiti sulla base di studi di religione comparata, comprese le descrizioni del folklore e della letteratura antica, ma gran parte di questo lavoro ha avuto un’agenda politica o religiosa. Tuttavia le descrizioni multiple forniscono un’immagine e una conferma della pratica che può essere adeguatamente ricostruita tramite l’analisi linguistica. Più recentemente, gli archeologi moderni hanno descritto molti siti che hanno elementi religiosi che possono essere analizzati (oltre a trovare molte nuove iscrizioni) e questi hanno fornito una gradita correzione alla libera speculazione che è stata pubblicata in passato. Più standard professionali di analisi della religione (con meno bigottismo) sono stati sviluppati anche negli studi antropologici. Si veda per esempio, pp. 229-232, Schultz e Lavenda, (antropologia culturale, una prospettiva sulla condizione umana, da Emily A. Schultz e Robert H. Lavenda, Mayfield Publishing Co., Mountain View, CA, 1995; abbrev. &L); S e p. 344-382, Haviland (antropologia culturale di William A. Haviland, Harcourt Brace Jovanovich College Publishers, NY, 1993).

Arta

Un esempio del peggio del precedente tipo di analisi è fornito da Émile Benveniste che afferma che “non esiste un termine comune per designare la religione stessa, o il culto, o il sacerdote, e neanche uno per i singoli dèi” pp. 445-6. Egli poi fornisce il primo esempio di ciò di cui nega l’esistenza: la radice *ŗta-, di solito tradotta come ‘ordine’, e ricostruita dal vedico sanscrito Ŗta, e ‘l’ordine’ dell’Arta iranico che forniscono sia una parola astratta che il nome di una dea. Questa radice fornisce anche le forme sanscrite ŗta-Van (masc.), e ŗta-vari (FEM.); e le forme iraniche Artavan (masc.), e Artavari (FEM.), tutte significanti ‘colui che è fedele ad Arta, che è moralmente compiuto’ che sono tipi comuni di formazioni per coloro che assistono ai rituali (per esempio, sacerdoti e sacerdotesse). Dopo aver respinto la possibilità che gli Indoeuropei potessero avere un concetto religioso di base, Benveniste afferma: “Abbiamo qui una delle nozioni cardinali del mondo legale degli Indoeuropei che non dice nulla delle loro idee religiose e morali” (Benveniste , pagg. 379-381). Aggiunge anche che un suffisso astratto -tu formò la radice vedica Ŗtu-, avestica Ratu-, che designava l’ordine, in particolare nelle stagioni e periodi di tempo e che appare nel latino Ritus ‘rito’ preso in prestito in Inglese come ‘rite (s), ritual (s)’. La stessa radice, a volte data come *hrta, appare come -Ratri, l’elemento in molti nomi di festival in India come Shivaratri, il Festival della celebrazione del matrimonio di Shiva. In moderno Hindi, gli ārties (aarties) sono inni speciali che vengono cantati alla fine di un’offerta per assicurarsi che i riti vengano eseguiti correttamente; molti di questi sono dati nella preghiera quotidiana di Snatan. Un altro suffisso -ti dà il latino ars, artis ‘la tecnica per fare qualcosa’, e viene preso in prestito in Inglese come ‘art’. Questa è una delle parole più ampiamente testimoniate e le dee più ampiamente deificate tra gli Indoeuropei. Per molti altri esempi, vedere p. 710, G &I che dà *ar-(tho-) ‘adattare, corrispondere, unire’, con le forme ittite ara, ULara, e DAra ‘Buono, Giusto’, una Dea ittita; anche pp. 56, 57, Pokorny e *Haér (TIS) su p. 362, EIEC.

Un elenco di termini religiosi proto-indoeuropei ricostruiti è fornito da Lyle Campbell (pp. 391-392, Historical Linguistics, An Introduction, MIT Press, Cambridge, 2004), per il quale accredita Michael Weiss. Campbell dà solo la radice nuda e una traduzione; ove possibile, ho aggiunto i numeri di pagina di Encyclopedia of Indo-European Culture (abbreviato EIEC), che amplifica le informazioni e dà alcune delle parole in varie lingue, e anche da Gamkrelidze e Ivanov (abbreviato G&I) che utilizzano diversi tipi di ricostruzione fonetica, ma forniscono anche molti esempi. I miei commenti sono tra parentesi.

  • *isH1ro ‘sacro’ [*eisH1ro, p. 702, G&I]
  • *sakro- ‘sacro’ (derivante da *sak- ‘santificare’) [p. 493, EIEC; p. 702, G&I]
  • *kywen(to)- ‘sacro’ [p. 493, EIEC; p. 702, G&I]
  • *noibho- ‘sacro’ [p. 493, EIEC]
  • *preky ‘pregare’ [si veda perky ‘chiedere, chiedere in matrimonio’ p. 33 EIEC, ma eccetto che in Latino, l’uso sembra essere limitato a un senso non religioso]
  • *meldh ‘pregare’ [p. 449, EIEC; p. 703, G&I; si veda preghiera, pregare, sotto.]
  • *gwhedh ‘pregare’ [p. 449, EIEC]
  • *H1wegwh ‘parlare solennemente’; [*uegwh, p. 449, EIEC; p. 704, G&I]
  • *ĝheuHx ‘chiamare, invocare’ (probabile Inglese ‘God’ da *ĝhū-to- da ‘ciò che è invocato’, ma deriva da *ĝhu-to-‘versare’ da *ĝheu- ‘libare, versare’ è anche possibile), [p. 89, EIEC; si veda invocare, invocazione, sotto.]
  • *kowHxei- ‘sacerdote, veggente/poeta’ [p. 451, EIEC]
  • *Hxiaĝ- ‘adorare’ [*yak’ p. 704fn, G&I]
  • *weik- ‘consacrare’ (significato precedente forse “separare”), [*ueik-, p. 493, EIEC; p. 29, Grimm]. Questa è l’origine della parola Wicca, tra l’altro.
  • *sep- ‘gestire con riverenza’ [p. 450, EIEC]
  • *spend- ‘libare’ [*sphent’- pp. 608, 708, G&I]
  • *ĝheu- ‘libare’ e *ĝheu-mņ ‘libagione’ (ma vedasi *ĝheuHx sopra.)
  • *dapnom ‘pasto sacrificale’ da *dap-. [Vedasi daps sotto.]
  • *tolko/eH2 ‘pasto’ (almeno tardo PIE) [p. 496, EIEC]
  • *nemos ‘bosco sacro’ (utilizzato in Occidente e centro del mondo IE) [némes- p. 248, EIEC]
  • *werbh ‘recinto sacro’

Di seguito sono riportati alcuni elementi del rituale proto-indoeuropeo che possono essere ricostruiti in base all’analisi linguistica. Questo non è affatto tutto, sono solo quelli di cui ho avuto modo di scrivere finora.

Culto degli Antenati

Gli antropologi elencano gli spiriti ancestrali come uno dei tipi di esseri soprannaturali e sono “visti come un interesse attivo nella società umana” p. 348-350, Haviland. Chiamati *patri-> Patris o patrikas (ad esempio ‘padri, piccoli padri’, p. 194-5, EIEC) e *mater > matris o matrikas (ad esempio ‘madri, piccole madri’, p. 385-6, EIEC) entrambi con terminazioni diminutive in varie forme affini, erano adorati tra tutti gli Indoeuropei. In generale, le persone fanno questo andando a siti tombali e offrendo cibo, fiori e lampade illuminate o candele. Gli Indoeuropei adoravano i propri genitori come comunità in periodi regolari dell’anno, specialmente in maggio e novembre.

I “morti onorati” si presumevano persistere in qualsiasi luogo ed erano anche adorati allo stesso modo sotto il nome *Mannus, ad esempio il Latino Di Manes e molte forme affini in altre lingue. Una variante più personale di questo rituale era la commemorazione di compagni perduti da parte di soldati molto diffusa tra i Romani, e celebrato come la Rosalia, circa il 1 ° maggio.

Offerte di Cibo

Un’offerta sacrificale o un’oblazione di orzo tostato viene ricostruita sulla base di *bhrekyh-, da cui deriva il latino arcaico ferctum ‘la torta sacrificale fatta di orzo, miele e burro’, osco fertalis ‘cerimonia rituale che coinvolge torte sacrificali’. Un’offerta è anche ricostruita con parole per ‘fuoco’ come *nk’ni- da cui deriva il sanscrito agní ‘sacro fuoco’, greco Agōn- ‘concorso, giochi (un tipo molto comune di offerta)’ e latino agneus ‘offerta di arrosto, agnello’. Gamkrelidze e Ivanov sostengono che questi insiemi di forme mostrano un rituale proto-indoeuropeo comune con alcune sostituzioni, p. 604-605. Certamente un’offerta rituale che usa il fuoco può essere ricostruita su motivi di religione comparativa perché è descritta esplicitamente in Latino, Sanscrito, Ittita e Greco.

Nel caso di un animale ucciso per un’offerta, il punto non era quello di causare sofferenza all’animale, ma di avere qualcosa da mangiare. Questo processo era tuttavia inquietante per gli Indoeuropei, e hanno espresso questo attraverso il rituale di personificazione dell’animale. Questo appare nel mito di Yama, il primo animale a morire e in rituali e festival legati a questo mito, come il greco Bouphonia Festival, la Poplifugia romana e il Festival di Romolo e il lettone Apjumibas.

vittime sacrificali

Daps è un banchetto, o cibo rituale offerto a una divinità come atto sacro per incoraggiare gli Dei e Dee a fare qualcosa. Gli adoratori spesso celebrano con una festa comunitaria, p. 231-232, S&L, ma un Daps ha la caratteristica distintiva di uno speciale “seggio” previsto per gli Dèi e Dee alla festa. Descrizioni dettagliate di come erigerne uno sono date in Sanscrito, Avestico, Greco e Latino. Questo è un tipo molto arcaico di festival; nelle prime descrizioni, la paglia veniva sparsa sul terreno perché gli antenati o divinità e dee vi si sedessero, dal momento che apparentemente non c’erano mobili disponibili, o non erano ancora stati inventati. In Latino, la forma più vecchia è descritta da Catone nel De Agri Cultura, un libro su come coltivare, e dal momento che dice specificamente che è necessario propiziare gli Dèi e le Dee per produrre buoni raccolti, egli racconta di come fare un Daps.

Nel tardo periodo classico, un Daps nella tradizione greca e romana era diventato una scusa per una festa elaborata e costosa simile a un “gala di beneficenza di New York” e un intero libro è conservato sul tema chiamato Deipnosofisti, che racconta quali alimenti erano serviti e fornisce anche ricette. Conosciamo anche la canzone rituale in latino poiché c’è un Daps per Sant’Agnese cantato a Pasqua, secondo l’Innario Gregoriano. La festa è ricostruita come *dapnom ‘pasto sacrificale’ da *dap-. Forme includono: greco dapáne, con il perideipnon, un banchetto tradizionale presso la tomba di una persona cara; latino daps ‘tavolo cerimoniale (cultico); cibo, pasto, festa’, armeno tawn ‘banchetto’ e antico islandese tafn ‘animale sacrificale, cibo sacrificale’. Le parole correlate sono tocario A. tāpal ‘cibo’ e ittita LUtappala- ‘persona responsabile della cucina di corte’ (p. 606, G &I; p. 323ff e p. 484, Benveniste; p. 496, EIEC). C’è un’ottima discussione sulla “festa degli dèi” di Theoxenia nell’antica pratica di culto greca dalle prove epigrafiche, ed. di Robin Hagg, Svenska Institutet i Athen, Stoccolma, 1994.

Offerte vocali

Le offerte agli dèi e alle dee sotto forma di discorsi (preghiera, lode, canto e storia) sono comuni a tutte le genti secondo gli antropologi. Gli Indoeuropei avevano diverse parole per “Offerte vocali” che possono essere ricostruite in proto-Indoeuropeo, compresi i verbi che significano invocare, pregare, cantare e parole formate da queste mediante un processo regolare.

Invocare, invocazione

Gli Indoeuropei invocavano Dèi e Dee usando la parola *ĝheuHx – ‘chiamare, invocare’ con forme in nove gruppi linguistici (p. 89-90, EIEC; p. 413-4, Pokorny). Invocare qualcuno è “chiamarli” e questo veniva compiuto all’inizio di qualsiasi rituale religioso dove si sperava che le divinità partecipassero o almeno ascoltassero. C’è una costruzione regolare di un sostantivo di agente da questo verbo utilizzando un suffisso *-tar (“colui che fa X”), che produce parole per ‘invocatore’ in quattro gruppi linguistici, e costituisce una delle parole standard per sacerdoti e sacerdotesse tra gli Indoeuropei. Esempi sarebbero gođi in Antico Norreno, sanscrito hotra e avestico zaothra. Ci sono molte altre parole di struttura simile.

Vocativo è il termine grammaticale per il caso di un sostantivo usato per appellarsi a persone o esseri non presenti, ed è ricostruito nel sistema di casi sostantivali proto-indoeuropei. Ad esempio, la forma vocativa greca Deo è di solito tradotta in Italiano con la particella “O” come in “O Dea…” Ogni volta che il vocativo viene utilizzato, indica che l’oratore ha personificato l’oggetto dell’indirizzo, al contrario di limitarsi a riferirsi a un concetto astratto. Per chiarire con un esempio, molti americani si riferiscono a “Madre Natura” come se fosse un essere potente, soprattutto dopo un uragano, ma di solito non vi si appellano direttamente come “O Madre Natura…” che indicherebbe che stiano adorando lei. Questa distinzione è importante perché mostra se una certa divinità è stata effettivamente adorata, o se è solo una metafora poetica o un frutto dell’immaginazione dei molti autori che hanno cercato di ricostruire la religione proto-indoeuropea in modo tale da sostenere le proprie ideologie.

Gli Indoeuropei spesso usano patri ‘padre’ e matri ‘madre’ (o forme simili) dopo il nome di una divinità. C’è una lista di queste in fonti romane: Iane Pater (Janus), Liber Pater, Mars Pater o Marspiter, Neptunus Pater, Saturnus Pater, Dispater, Deus patri, Jupiter e Vediovis Pater, tutti elencati nei libri del CIL. Questo appositivo ha la forza di un vocativo, e sembra essere particolarmente utilizzato quando viene fatta una richiesta, come se l’oratore si aspettasse di essere in grado di fare un appello speciale ai propri genitori, che avrebbero potuto sentirsi obbligati a rispondere come a un figlio o una figlia.

Pregare, Preghiera

Una parola diffusa usata dagli Indoeuropei è ricostruita come *meldh – “Pregate mentre offrite sacrificio, offri parole orante agli dèi”. Questo si basa sulla preghiera degli Ittiti maldai, ‘promettiamo solennemente agli dei di offrire un sacrificio’, la preghiera maldessar, ‘invocazione’; alto tedesco antico meldon ‘comunicare, riferire’; tedesco melden; e antico morreno -mal ‘poesia, racconto’, suffisso in titoli di poesie mitologiche nell’Edda Antica. Altre forme includono l’antico ecclesiastico slavo moliti ‘pregare’; russo antico molit ‘pregare mentre si compie un sacrificio’, Ceco modla ‘idolo, tempio’; lituano meldziu ‘(Io) prego’, malda ‘preghiera’; e armeno malt’em ‘(Io) prego’ (p. 703-4, G &I; p. 722, Pokorny; p. 449, EIEC).

Modello Generale per le Preghiere

Mallory e Adams osservano che esiste un modello formulaico ricostruibile dalle prime preghiere attestate (p. 450 EIEC, basando il loro lavoro su Benveniste, pp. 499-507 e infine su Dumézil). Il modello mostra: 1) invocazione, 2) base, che è la giustificazione di una richiesta (tipicamente: ci hai aiutato prima) e quindi 3) la richiesta spesso con un verbo imperativo alla fine. Essi danno diversi esempi; questo è di Catone (De Agri Cultura, 1:132; l’originale latino è citato in M. P. Catone Sull’Agricoltura):

Iuppiter dapalis, quod tibi fieri oportet in domo familia mea culignam vini dapi, eius rei ergo macte had illace dape pollucenda esto.

Jupiter Dapalis (invocazione), poiché è giusto che una tazza di vino ti sia offerta, nella mia casa e in mezzo al mio popolo, per la tua sacra festa; e a tal fine (base), che tu sia onorato con l’offerta di questo cibo (richiesta).

L’esempio precedente è descritto come una richiesta, ma molti rituali indoeuropei consistono nel ringraziare, e cantare canzoni di lode, soprattutto in regolari festival annuali. Infatti la richiesta qui, come nella maggior parte degli esempi, è che la Deità accetti l’offerta! Le celebrazioni comunitarie sono una parte importante di tutte le religioni indoeuropee, e certamente costituiscono la parte più facilmente ricostruibile della religione proto-indoeuropea. [fuggle26]

La pratica rituale indoeuropea è stata molto variabile su una zona molto ampia (dall’Irlanda all’India) e per un periodo di tempo molto lungo (6000 anni), ed era abbastanza flessibile in accordo con le esigenze delle persone. Tuttavia è possibile ricostruire molti rituali nella loro originale forma proto-indoeuropea, utilizzando metodologie linguistiche e comparative, in concomitanza con i dati archeologici e la pratica religiosa moderna.

Fonti

• Ancient Greek Cult Practice from the Epigraphical Evidence, ed. diRobin Hagg, Svenska Institutet i Athen, Stoccolma, 1994.
• Cultural Anthropology by William A. Haviland, Harcourt Brace Jovanovich College Publishers, NY, 1993.
• Cultural Anthropology, A Perspective on the Human Condition, by Emily A. Schultz e Robert H. Lavenda, Mayfield Publishing Co., Mountain View, CA, 1995. (abbrev. S&L)
• Deutsche Mythologie di Jacob Grimm, (English title Teutonic Mythology, translated by J.S. Stallybrass), George Bell and Sons, Londra, 1883.
• Encyclopedia of Indo-European Culture, di J. P. Mallory, and Douglas Q. Adams, Fitzroy Dearborn, Londra, 1997. (abbreviato EIEC)
• Historical Linguistics, An Introduction, di Lyle Campbell, MIT Press, Cambridge, Mass., 2004.
• Indo-European and the Indo-Europeans: A Reconstruction and Historical Analysis of a Proto-Language and a Proto-Culture, di Thomas V. Gamkrelidze, e Vjaceslav V. Ivanov, (Tendenze in linguistica: studi e monografie 80, 2 Vol. Set), con Werner Winter, ed., e Johanna Nichols, traduttrice (titolo originale Indoevropeiskii iazyk i indoevropeistsy), M. De Gruyter, Berlino & NY, 1995. (abbrev. G&I)
• Indo-European Language and Society di Émile Benveniste (trad. di Elizabeth Palmer, tit. or. Le vocabulaire des institutions Indo-Européennes, 1969), University of Miami Press, Coral Gables, Florida, 1973.
• Indogermanisches Etymologisches Wörterbuch di Julius Pokorny, Francke Verlag, Berna e Monaco, 1959.
• M. P. Cato on Agriculture, Latino con traduzione in Inglese di W.D. Hooper, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1936 (un’edizione bilingue Loeb Classical Library).
• Oxford Introduction to Proto-Indo-European and the Proto-Indo-European World, di J. P. Mallory, e Douglas Q. Adams, Oxford University Press, Oxford, 2006.
• Snatan Daily Prayer Diamond Books, Nuova Delhi, 2004.